LA GRANDE ILLUSIONE DEI CANDIDATI CIVICI.

di Paolo Armaroli

La considerazione dell’opinione pubblica nei confronti dei partiti non è mai stata così bassa. Di legislatura in legislatura, in effetti la classe politica rimpicciolisce a vista d’occhio. Un recente sondaggio la dice lunga. Il 45% degl’italiani vorrebbe come premier un esponente della società civile non iscritto a nessuna formazione politica. Mentre appena un terzo darebbe la preferenza a un leader di partito. E tra questo terzo, manco a dirlo, si distinguono coloro che simpatizzano per il movimento di Luigi Di Maio. Tira una brutta aria, insomma, per capi, capetti e caperonzoli di partito. È notorio che tra questi ultimi l’istinto di sopravvivenza è molto forte. Perciò si corre ai ripari, facendo di necessità virtù. Meglio di qualsiasi altro, Silvio Berlusconi lo ha capito. Ringalluzzito da un sistema elettorale che sembra coniato apposta per farlo tornare in pista da protagonista (quando si dice l’hegeliana eterogenesi dei fini…), il patron di Forza Italia dà l’impressione di scimmiottare Sandro Pertini ai tempi in cui era Presidente della Repubblica. Se c’era uno che faceva parte della classe politica era proprio lui, deputato già all’Assemblea costituente. Ma all’occorrenza sparava alzo zero contro i professionisti della politica, atteggiandosi a difensore civico. A fustigatore del malcostume. Così Berluconi. Di continuo se la rifà con un teatrino della politica della quale a buon diritto fa parte da un ventennio. E, a onor del vero, Matteo Renzi non è da meno. Berlusconi non finisce mai di stupirci. Il 13 dicembre, alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa, ha detto che il rinnovamento vuol dire «scegliere persone che non abbiano mai fatto politica». Che fa il verso alla battuta tra il serio e il faceto pronunciata dalla ministra Marianna Madia non appena eletta alla Camera dei deputati: «Porterò il contributo della mia inesperienza». Un mago della comunicazione qual è lui sa che giova ripetere all’infinito le stesse cose. Così ha messo le mani avanti e ha dichiarato che formerà un governo composto da venti ministri: otto politici e dodici provenienti dalla mitica società civile. E proprio in questi giorni il da fare non gli manca. Sta soppesando un migliaio di dossier. Vuole candidare, come ha scritto il Giornale , «i protagonisti della società civile, imprenditori, manager, professionisti, accademici». E il 23 dicembre, per non essere da meno, Renzi ha sottolineato che «tanti nomi nelle liste dovranno venire dalla società civile», come Lucia Annibali e l’ex Ct della nazionale di pallavolo Mauro Berruto. Gettando nel panico i parlamentari in carica, perché — sondaggi alla mano — nella migliore delle ipotesi più di un centinaio dovrà tornare a casa. Guardate un po’ che cosa mai non si fa per emulare la notoria incompetenza dei grillini (i quali a loro volta hanno aperto a candidati civici non iscritti al Movimento). Già, proprio qui sta il busillis. Siamo proprio sicuri che con candidati civici la nostra classe politica migliorerebbe? Certo, avremo i classici fiori all’occhiello di partiti impresentabili. Ma questi fiori all’occhiello al postutto non saranno altro che specchietti per le allodole. Faranno da richiamo. Ma poi costoro comprenderanno di contare come il due a briscola. E, a conclusione della legislatura, torneranno delusi alle loro professioni. Del resto, abbiamo una cartina di tornasole che parla chiaro. All’Assemblea costituente Umberto Terracini era contrario all’istituzione dei senatori a vita di nomina presidenziale perché quanti rifuggono dalla vita politica è bene che ne siano tenuti fuori. Ma il democristiano Antonio Alberti replicò che va assicurata «ai sommi, ai geni tutelari della Patria, una tribuna che essi non hanno». Ed ebbe partita vinta.

Ma con quali risultati? I soli che hanno lasciato la loro impronta a Palazzo Madama sono stati coloro che già da tempo erano in politica: i Malagodi, gli Spadolini, i Fanfani, gli Andreotti e via dicendo. Mentre i Trilussa, i Luzi, i Piano e tanti altri ancora, dei quali il tacere è bello, nessuno se li ricorda. Piaccia o no, la politica è una professione come tante altre. Ma occorre essere vocati. Una volta erano i partiti a selezionare la classe politica. E in Parlamento si arrivava dopo un lungo tirocinio e tanta passione. Ma oggi i partiti sono l’ombra del tempo che fu. Ed ecco che il neorealismo è passato dalla cinematografia alla politica. Gli attori si prendono dalla strada. Voglio dire, dalla società civile. Ma spesso non ne traiamo nessun giovamento.

 

Domenica 31 Dicembre 2017, Corriere Fiorentino.

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