Il caso
Nel paese di Acchiappacitrulli, Silvio Berlusconi è un generatore automatico di promesse. Dopo 24 anni di campagne elettorali, l’ultimissimo scampolo dei suoi impegni finisce per aggrovigliarsi nella memoria con il penultimo. pagina 10 Nel paese di Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, Silvio Berlusconi è un generatore automatico di promesse. Si perdoni il tono risoluto del giudizio, ma sono ormai 24 anni di campagne elettorali, per cui l’ultimissimo scampolo dei suoi impegni – sgravi totali per i giovani, aumento pensioni minime, reddito “di dignità” e flat tax al 23 con automatico calo al 13 per cento – finisce per aggrovigliarsi nella memoria con il penultimo.
E questo, a sua volta, rischia di fare cortocircuito con le fantastiche meraviglie invocate alla vigilia del terzultimo ciclo di promesse elettorali; e alla fine – che nel caso del Cavaliere non è mai la fine – la confusione prevale in un tripudio di Cuccagna, Bengodi, Eldorado. E una volta rassegnati al presente, è già molto rammentare che il ripristinato contributo per gli animaletti da compagnia con annesso veterinario risale al 2006, mentre le dentiere dell'”Operazione sorriso” costituiscono anch’esse un revival, o remake, essendo state lanciate la prima volta nel 2001 insieme con l’immancabile poliziotto di quartiere, al quale nel 2008 si aggiunse l’infermiera, anch’essa di quartiere. In quell’anno di trionfo del Pdl, per dire i mezzi e l’ambito entro cui solitamente si sviluppa la pesca, oltre all’abolizione della tassa sulla prima casa, Berlusconi si giocò l’arma totale, la bomba atomica della spudoratezza: l’allungamento della vita “fino ai cent’anni”. Come presupposto di tale traguardo, nei comizi si lasciò intravedere la possibilità di vittoria sul cancro. Ma funzionò? Tutto comunque è ancora possibile. Per cui di qui a marzo potrebbero anche ricicciare la Golden Card per gli anziani, un ulteriore bonus Bebè, la sempiterna abolizione del canone Rai e magari anche quelle fantastiche “tre I” (impresa, inglese e internet) che sempre nel 2001 accompagnarono il super pacchetto delle Grandi Opere, pure illustrate da Vespa con visione di finto Ponte sullo Stretto, nonché certificate nel Contratto televisivo con gli italiani insieme al misteriosofico “Modello Universale”, che a sua volta avrebbe finalmente risolto i difficile rapporti fra i cittadini e la Pubblica Amministrazione – e vabbè.
Tutto questo per dire che certo, tutti i politici da sempre promettono. È storia antica, opportunamente trattata da Machiavelli nel capitolo XVI del Principe, titolo: De liberalite et parsimonia. Per tornare all’età repubblicana: tutti lo fecero, da Achille Lauro, nelle cui mani Napoli sarebbe divenuta “la perla del Mediterraneo”, a Matteo Renzi che in stato di grazia non solo s’impegnò a realizzare “una riforma al mese”, testualmente, ma in America, nel garantire qualche altro impossibile obiettivo, atteggiò l’espressione del volto allo scopo e mise pure la manina sul cuore. Ma rispetto a Berlusconi, sia l’uno che l’altro risultano due poveri dilettanti perché dal punto di vista dell’evoluzione tecnica e seriale Silvione promette prima, promette sempre, promette meglio e promette di più.
Quest’ultima storia, per dire, del maxi fondo di 500 miliardi per l’Africa si ricongiunge idealmente e psicologicamente allo sventolatissimo suo Piano Marshall per il Medio Oriente, che per la verità non si è mai capito bene cosa fosse, forse degli alberghi nella striscia di Gaza.
Così come, sia pure in termini economici più modesti, ma altrettanto evocativi, al momento di inviare dei soldati italiani in Afganistan promise di insediare una televisione laggiù (sembra di ricordare che per i sopralluoghi a Kabul fosse stato individuato Vittorio Sgarbi). Così, anche ripensando a quello che resta il momento più alto, spassoso e insieme disperato, dell’intera promessiade berlusconiana, e cioè l’emergenza-show di Lampedusa durante la quale l’allora presidente del Consiglio s’impegnò a realizzare un nuovo regime fiscale, rimboschimento, campi da golf, casinò, una zona franca, un’area “a burocrazia zero”, spot turistici, “il Piano Colore” consistente in una generale ritinteggiatura delle abitazioni per rendere l’isola “simile a Portofino”, oltre alla proposta ufficiale dell’isola per il Premio Nobel e infine l’annuncio di essere divenuto “lampedusano” grazie all’acquisto di una villa in cui ovviamente non mise mai piede…; ecco, ripensando con naturale sgomento a tutto ciò, viene lo scrupolo e la tentazione di spostare il fulcro della faccenda da Berlusconi, che pure rimane imperatore dei cacciaballe, ai destinatari delle sue incredibili promesse, alle vittime cioè del suo ordinario e consolidato miracolismo elettorale.
E un po’ occorre riconoscere che fa male accorgersi in questo modo che gli italiani, un tempo fieri della loro furbizia, pronti ad attaccare al muro maioliche con su scritto “Ca’ nisciuno è fesso”, sono divenuti nel giro di una ventina d’anni un popolo di creduloni, boccaloni, gnocchi e allocchi. E allora ci si sorprende a ricercare qualche altra spiegazione, e fra quelle plausibili c’è che le elezioni non sono, o meglio non sono solo una risposta allo stato reale del paese, ma rispondono anche a uno specchio di fantasie, a un criterio di desideri e a un gioco di ombre del tutto diversi. Viene da pensare – e qui si torna a lui – che chi proviene dal mondo dell’economia, dello spettacolo, della pubblicità, e dunque possiede i codici emotivi per scandagliare l’inconscio per trarne profitto, parta come minimo avvantaggiato. E prometta, prometta, prometta, ben oltre i limiti dell’oblio e della vergogna, dell’immaginazione e della verità.
E questo, a sua volta, rischia di fare cortocircuito con le fantastiche meraviglie invocate alla vigilia del terzultimo ciclo di promesse elettorali; e alla fine – che nel caso del Cavaliere non è mai la fine – la confusione prevale in un tripudio di Cuccagna, Bengodi, Eldorado. E una volta rassegnati al presente, è già molto rammentare che il ripristinato contributo per gli animaletti da compagnia con annesso veterinario risale al 2006, mentre le dentiere dell'”Operazione sorriso” costituiscono anch’esse un revival, o remake, essendo state lanciate la prima volta nel 2001 insieme con l’immancabile poliziotto di quartiere, al quale nel 2008 si aggiunse l’infermiera, anch’essa di quartiere. In quell’anno di trionfo del Pdl, per dire i mezzi e l’ambito entro cui solitamente si sviluppa la pesca, oltre all’abolizione della tassa sulla prima casa, Berlusconi si giocò l’arma totale, la bomba atomica della spudoratezza: l’allungamento della vita “fino ai cent’anni”. Come presupposto di tale traguardo, nei comizi si lasciò intravedere la possibilità di vittoria sul cancro. Ma funzionò? Tutto comunque è ancora possibile. Per cui di qui a marzo potrebbero anche ricicciare la Golden Card per gli anziani, un ulteriore bonus Bebè, la sempiterna abolizione del canone Rai e magari anche quelle fantastiche “tre I” (impresa, inglese e internet) che sempre nel 2001 accompagnarono il super pacchetto delle Grandi Opere, pure illustrate da Vespa con visione di finto Ponte sullo Stretto, nonché certificate nel Contratto televisivo con gli italiani insieme al misteriosofico “Modello Universale”, che a sua volta avrebbe finalmente risolto i difficile rapporti fra i cittadini e la Pubblica Amministrazione – e vabbè.
Tutto questo per dire che certo, tutti i politici da sempre promettono. È storia antica, opportunamente trattata da Machiavelli nel capitolo XVI del Principe, titolo: De liberalite et parsimonia. Per tornare all’età repubblicana: tutti lo fecero, da Achille Lauro, nelle cui mani Napoli sarebbe divenuta “la perla del Mediterraneo”, a Matteo Renzi che in stato di grazia non solo s’impegnò a realizzare “una riforma al mese”, testualmente, ma in America, nel garantire qualche altro impossibile obiettivo, atteggiò l’espressione del volto allo scopo e mise pure la manina sul cuore. Ma rispetto a Berlusconi, sia l’uno che l’altro risultano due poveri dilettanti perché dal punto di vista dell’evoluzione tecnica e seriale Silvione promette prima, promette sempre, promette meglio e promette di più.
Quest’ultima storia, per dire, del maxi fondo di 500 miliardi per l’Africa si ricongiunge idealmente e psicologicamente allo sventolatissimo suo Piano Marshall per il Medio Oriente, che per la verità non si è mai capito bene cosa fosse, forse degli alberghi nella striscia di Gaza.
Così come, sia pure in termini economici più modesti, ma altrettanto evocativi, al momento di inviare dei soldati italiani in Afganistan promise di insediare una televisione laggiù (sembra di ricordare che per i sopralluoghi a Kabul fosse stato individuato Vittorio Sgarbi). Così, anche ripensando a quello che resta il momento più alto, spassoso e insieme disperato, dell’intera promessiade berlusconiana, e cioè l’emergenza-show di Lampedusa durante la quale l’allora presidente del Consiglio s’impegnò a realizzare un nuovo regime fiscale, rimboschimento, campi da golf, casinò, una zona franca, un’area “a burocrazia zero”, spot turistici, “il Piano Colore” consistente in una generale ritinteggiatura delle abitazioni per rendere l’isola “simile a Portofino”, oltre alla proposta ufficiale dell’isola per il Premio Nobel e infine l’annuncio di essere divenuto “lampedusano” grazie all’acquisto di una villa in cui ovviamente non mise mai piede…; ecco, ripensando con naturale sgomento a tutto ciò, viene lo scrupolo e la tentazione di spostare il fulcro della faccenda da Berlusconi, che pure rimane imperatore dei cacciaballe, ai destinatari delle sue incredibili promesse, alle vittime cioè del suo ordinario e consolidato miracolismo elettorale.
E un po’ occorre riconoscere che fa male accorgersi in questo modo che gli italiani, un tempo fieri della loro furbizia, pronti ad attaccare al muro maioliche con su scritto “Ca’ nisciuno è fesso”, sono divenuti nel giro di una ventina d’anni un popolo di creduloni, boccaloni, gnocchi e allocchi. E allora ci si sorprende a ricercare qualche altra spiegazione, e fra quelle plausibili c’è che le elezioni non sono, o meglio non sono solo una risposta allo stato reale del paese, ma rispondono anche a uno specchio di fantasie, a un criterio di desideri e a un gioco di ombre del tutto diversi. Viene da pensare – e qui si torna a lui – che chi proviene dal mondo dell’economia, dello spettacolo, della pubblicità, e dunque possiede i codici emotivi per scandagliare l’inconscio per trarne profitto, parta come minimo avvantaggiato. E prometta, prometta, prometta, ben oltre i limiti dell’oblio e della vergogna, dell’immaginazione e della verità.
La Repubblica – Filippo Ceccarelli – 29/12/2017 pg. 1.10 ed. Nazionale.