Le figlie di Marchesi: papà cuoco solo al ristorante. A casa cucinava la mamma.

 

Domani i funerali
«Ai fornelli di casa? Papà non si avvicinava neanche per sbaglio». Nella famiglia Marchesi a comandare, anche in cucina, era la moglie Antonietta Cassisa, musicista di origine siciliana. Del resto, il rapporto tra lei e Gualtiero, padre (putativo) dei più grandi cuochi oggi in circolazione in Italia, inventore di una decina di piatti che hanno fatto la storia della cucina, nacque così: lei era la sua insegnante di pianoforte, lui l’allievo. Lei spiegava, lui, ligio, ascoltava. Così fu per anni. Dopo il matrimonio e la nascita delle due figlie, Simona e Paola, che il giorno dopo la morte del papà, nel piccolo salotto d’ingresso di casa a Milano, in mezzo a un gran viavai di persone, tra un parente e l’altro giunto a salutare per l’ultima volta Marchesi, riescono a sorridere lo stesso. Correndo con la memoria agli anni migliori dei genitori.
«È vero, papà c’era poco in casa – ricordano le due sorelle -. Lavorava e lavorava. Viaggiava e studiava». Ma anche quando era presente, lui, uomo dei suoi tempi, lasciava la guida della cucina, nell’appartamento di via Calvi prima e di via Marcona poi, alla moglie. «Mamma preparava spesso ricette siciliane, la sua terra d’origine. E papà apprezzava molto». Famosa anche la trippa di Antonietta che Gualtiero provò tante volte, invano, a replicare.

Compagna di una vita, musicista come la mamma che faceva la cantante, Antonietta, mancata a giugno scorso, ebbe le spalle forti abbastanza da decidere di fare un passo indietro e rinunciare alla carriera di pianista per sostenere il marito. «Mamma e papà erano di carattere molto diverso – ricorda la figlia più grande, Simona, arpista, classe 1963, di casa a Borgo Ticino, sposata con Enrico Dandolo, amministratore delegato della società Marchesi srl -. Lui era intraprendente, lei più profonda. Lui aperto al mondo, lei chiusa ma dai valori morali intensi». Si conobbero a una serata di musica e opera. In casa si scornavano spesso. «Molte volte mia madre si stufava e urlava: “Adesso basta con tutta questa cucina!”. Lei avrebbe voluto continuare la professione di pianista a ritmi diversi, più serrati, ma a un certo punto dovette soccombere». Al marito lo rinfacciò più volte. Ma assieme Antonietta e Gualtiero si completavano. «Lei gli teneva comunque testa. Aiutò papà a dare ordine alla sua vita». In casa come in cucina. «E in cambio a lei lui si ispirò più volte, come a una vera musa, al momento di ideare i suoi piatti migliori per il ristorante».

In via Marcona, Simona e Paola ricordano ancora oggi Marchesi di ritorno dai lunghi viaggi in Francia, per imparare le grandi tecniche, con in mano preziosi doni. «Papà non era certo uno di quei padri che accompagnavano a scuola i figli – dice con un sorriso Paola, classe 1966, residente in Francia, violinista, con intorno il cagnolino di casa, Norton -. Era molto concentrato sul suo lavoro, ma ricordo ancora oggi quei buonissimi formaggi francesi che ci portava. A ripensarci oggi, niente di che. Ma allora, negli anni Settanta, erano cibi esotici. A Milano non li mangiava nessuno». E proprio fuori casa Simona e Paola impararono a cucinare dal papà. Soprattutto la più giovane, che con Marchesi lavorò due anni, prima al ristorante di via Bonvesin de la Riva, poi al Marchesino. «Al lavoro era esigente e perfezionista, mi trattava come tutti gli altri – racconta Paola -. Prima feci un apprendistato in pasticceria, poi alle carni. Lì papà mi parlava sempre dello chef Troisgros che conosceva talmente bene le tecniche di cottura, i fondi delle padelle o la potenza dei fuochi che poteva anche uscire dalla cucina senza rovinare la carne. Ecco, per lui dovevamo diventare tutti così. Difficile». Oggi che non c’è più resta il suo insegnamento più grande: «Per valorizzare gli ingredienti migliori, nei piatti come nella vita, bisogna puntare sempre sulla semplicità». Quella che in famiglia gli insegnò per anni la moglie Antonietta Cassisa.

 

Corriere della Sera.

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