Come si fa un film per ragazzi? Come si parla ai giovani? Come si scrive per le nuove generazioni? Per rispondere a queste e altre domande «la Lettura» ha incontrato il regista premio Oscar Gabriele Salvatores, di cui il 4 gennaio esce il film Il ragazzo invisibile. Seconda generazione, seguito del fortunato Il ragazzo invisibile (2014). Nel primo episodio il giovane scopre di essere diverso dai suoi coetanei, di poter diventare invisibile, nel vero senso della parola; nel secondo due donne misteriose fanno l’ingresso nella sua vita. A dialogare con Salvatores è lo scrittore per ragazzi Pierdomenico Baccalario.
Che si tratti di un film o un libro, scrivere per ragazzi significa fare i conti con i pregiudizi.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Sono contento che Gabriele sia giunto al secondo episodio, perché in Italia i film per ragazzi mancano e perché la serialità è sempre vissuta come un’operazione commerciale, quindi senza creatività e qualità, ma non è così.
GABRIELE SALVATORES — Dal mio punto di vista il discorso è che cosa sia «per ragazzi» e cosa «per adulti»: E.T. a chi è destinato? E i Gremlins ? Lo stesso vale per tanta letteratura che mi ha cresciuto.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Parliamo intanto di libri letti da ragazzi: quali erano i tuoi preferiti?
GABRIELE SALVATORES — Sono cresciuto con molto Jack London e Melville. Il mio preferito in assoluto era Conrad… Ho letto anche Dostoevskij, ma ero appassionato di western, di terre selvagge e di avventura.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Che poi quando uno da ragazzo legge un libro non pensa: sto leggendo letteratura anglosassone o russa. No, i ragazzi se ne fregano di chi ha scritto un libro o di chi ha diretto un film. Loro vanno sulla storia e sul contenuto.
GABRIELE SALVATORES — Sono d’accordo, da ragazzo non ci fai caso. Allo stesso modo mi piacevano il cinema indipendente e la musica; suonavo la chitarra, volevo fare la rockstar…
PIERDOMENICO BACCALARIO — Il film ha molti rimandi ai fumetti. Qual è il tuo rapporto con i comics ?
GABRIELE SALVATORES — Il primo che mi ricordo è Flash Gordon, non so come mi sia arrivato tra le mani: ero innamorato di uomini-leoni, uomini-aquila e via dicendo. Sono passato a Tintin, che era considerato di destra; a me piaceva il tratto. Poi a Corto Maltese che si è congiunto con gli scrittori che amavo. Crescendo mi piaceva la fantascienza francese: Bilal, Moebius, il mensile «Métal Hurlant». I supereroi Marvel li ho letti ma non erano la mia passione.
PIERDOMENICO BACCALARIO — A me piaceva l’Uomo Ragno, era il più giovane e il più semplice: innamorato di una ragazza che non lo guardava, mi ci ritrovavo.
GABRIELE SALVATORES — Il ragazzo invisibile l’ho fatto anche perché c’è un’età in cui davvero le ragazze non ti vedono, ti passano attraverso.
PIERDOMENICO BACCALARIO — La colonna sonora, la spazialità musicale, la fotografia e gli effetti speciali del film hanno un’alta qualità: non diresti che è un film per ragazzi e non diresti che è stato realizzato in Italia.
GABRIELE SALVATORES — Sono dell’idea che la musica dovrebbe aggiungere qualcosa, non essere solo un cameriere che serve un piatto. Nel film l’irrompere della musica classica in un momento particolare aggiunge qualcosa, fa sì che nasca un sentimento di simpatia per il protagonista. Il supervisore per gli effetti visivi è Victor Pérez, uno spagnolo che ha lavorato con Christopher Nolan per Il cavaliere oscuro , Harry Potter e Star Wars ; ha una grande esperienza. Ha coinvolto molti giovani con cui aveva lavorato, ragazzi tra 18 e 24 anni che vivono in India, a New York, in Canada: ha spiegato loro che non c’erano molti soldi da prendere perché era un film italiano ( ride ). Sono arrivati effetti da tutto il mondo.
Chi sono i ragazzi oggi? E qual è il valore aggiunto di lavorare con i ragazzi oltre che per i ragazzi?
GABRIELE SALVATORES — Ho usato spesso adolescenti come protagonisti dei miei film: da I o non ho paura a Come Dio comanda , poi Il ragazzo invisibile. Anche nel mio prossimo film ci sarà al centro un adolescente di 16 o 17 anni. Un po’ è perché non ho figli, quindi ne sto allevando uno cinematografico. Poi perché è l’età in cui trovi ancora l’entusiasmo, c’è l’apertura ai sogni, alla possibilità di raccontare storie che non siano soltanto realistiche o frutto della realtà. Wim Wenders dice che ogni macchina fotografica, cinepresa o telecamera ha due obbiettivi, uno che guarda fuori e uno che guarda dentro verso chi sta fotografando o filmando. Non sempre il pubblico adulto è capace di guardare un film e cogliere ciò che gli risuona dentro in maniera innocente; i ragazzi sono più disposti a farlo.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Senza svelare la trama, un tema interessante del film è la gestione del potere: gli Speciali, le persone con superpoteri, sono potenti, ma mentre di solito nei supereroi americani il potere vuol dire, in modo magari un po’ ipocrita, prendersi cura degli altri, qui in maniera più profonda e più italiana, invece, il potere giustifica qualsiasi tipo di azione, supera la morale. Un personaggio a un certo punto dice: «Siamo troppo forti per accontentarci».
GABRIELE SALVATORES — Il primo concetto di potere per un adulto che ritrova la libertà è la vendetta, la rivincita: quando ti senti forte non ti accontenti. Invece il ragazzo non ha questo modo di vedere. C’è però un’età in cui anche i giovani devono fare i conti con il loro lato oscuro, la perdita dell’innocenza. N e La linea d’ombra di Conrad c’è l’episodio di alcuni amici che giocano nel prato con una palla che finisce nel bosco; allora un bambino va a prenderla: a ogni passo sente più freddo, più umido e più buio… ha l’impressione di percepire rumori, gli animali che strisciano, le piante… Prende la palla e torna dagli amici, ma non gioca più con la gioia di prima. Dopo il primo film, quando già pensavamo alla possibilità di fare il secondo, abbiamo creato un contest con le scuole chiedendo a bambini e ragazzini di elementari e medie di scrivere un tema collettivo che immaginasse come andava avanti la storia. Sono affiorate due paure diffuse: una è il terrorismo; l’altra è qualcosa che la mia generazione non ha mai avuto, si tratta di timori che riguardano la propria identità: sono veramente figlio di mia madre? E più in profondo: chi sono? Da dove vengo?
Che cosa si può raccontare ai ragazzi? Tutto? Oppure solo storie facili e una realtà semplificata?
GABRIELE SALVATORES — Ci sono temi più trattabili di altri, ma non ho mai pensato a un pubblico esclusivamente di ragazzi. Ho sempre girato i film che mi sarebbe piaciuto vedere. Penso che i ragazzi conoscano molti aspetti della vita; magari non riescono a dirli o esprimerli, ma di sicuro sanno cosa sono il distacco, il dolore, la gioia, la morte. Per dire, in Io non ho paura il buco in cui si trova il bambino non era nel terreno, era ricostruito in teatro, ma faceva lo stesso impressione: fatto di terra, aveva radici e vermi. Il bambino in mutande aveva davvero un po’ paura. Allora per aiutarlo gli dico: facciamo come con gli attori, cosa ti ricorda questo buco? Magari tuo papà ti ha chiuso una volta in uno stanzino; e lui: no, mio papà non fa queste cose. Magari ti sarai svegliato al buio in camera tua; e lui: no, tengo sempre una lucina accesa. Allora gli dico: intanto pensaci, ci vediamo domani. Lui torna il giorno dopo e mi dice che sa cos’è il buco: è quando sei triste e non riesci a dirlo agli altri; una delle più belle descrizioni della depressione. Fatta da un bambino di neanche dieci anni. Comunque non penso a un pubblico di ragazzi quando faccio un film per ragazzi. Sto attento ai temi e mi posso permettere di toccarli in maniera un po’ più fantastica, non strettamente realistica. Il realismo, ecco il punto… Noi abbiamo due genitori ingombranti nel cinema, De Sica e Rossellini, ma accade anche con la letteratura, con Verga e Manzoni. Invece, dimentichiamo Ariosto, Dante, Tasso e poi Calvino. Abbiamo questa formazione fortemente realistica che nel cinema ci ha fregato per tanto tempo.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Ha distrutto molto dell’immaginario italiano. Se vai indietro negli anni trovi gli scapigliati milanesi con i loro racconti fantastici, poi trovi Buzzati con il suo mondo. È mancato in Italia un tessuto sociale sull’immaginario fantastico comparabile con quelli inglese, francese, tedesco o sudamericano. Noi abbiamo avuto paura del fantastico perché i nostri maestri letterari erano superiori alla nostra immaginazione. La nostra critica non ha mai premiato tantissimo la fantasia. Un paio di mesi fa ho intervistato per «la Lettura» lo scrittore Philip Pullman, gli ho chiesto che cosa leggesse di italiano, lui ha detto Guareschi e Calvino. Lo divertivano, vedeva Guareschi come un fantasy, le storie del prete e del sindaco che si scontrano; noi invece ci mettiamo la valenza politica. Se leggevi Il Signore degli anelli eri di destra perché gli elfi erano biondi e i cattivi venivano dall’Est. Sciocchezze!
GABRIELE SALVATORES — Quello che ha fregato la sinistra italiana è la non capacità di giocare con l’immaginario. Antonio Gramsci, che non era certo un sognatore, diceva: non basta la ragione a spiegare la realtà. Me lo sono scritto dietro al letto.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Gramsci l’ho messo in un libro a fare da guida a due ragazzini che fanno viaggi nel tempo. Per me scrivere per ragazzi è scrivere di tutto, ma scegliendo le parole: più sono piccoli i lettori e meno sono le parole che posso usare. È un lavoro di setaccio e di distillazione. Nelle mie storie i ragazzi vincono perché pensano in maniera diversa, si sono ribellati ai genitori; io faccio il tifo per i ragazzi. Il vero supereroe è quello che sa essere se stesso.
Rispetto ai predecessori, ai maestri di ieri, voi siete i ragazzi, quelli che rompono il passato, quelli che metaforicamente si ribellano ai genitori.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Banalmente sono uno scrittore che non fa il maestro elementare e che nel tempo libero scrive libri come è accaduto negli ultimi vent’anni della letteratura per ragazzi.
GABRIELE SALVATORES — Anch’io ho un percorso anomalo: vengo dal teatro, non ho fatto il Centro Sperimentale. Nel cinema di oggi sta succedendo qualcosa di diverso: registi giovani o affermati che fanno qualcosa di non strettamente legato alla realtà, non realistico.
Vi ostinate a proporre ai ragazzi di fare cose che loro non amano o non vogliono fare: leggere libri o stare chiusi in una stanza al buio a vedere un film. Ora ci sono il web, le serie tv, gli smartphone…
GABRIELE SALVATORES — Ma è una battaglia che vale la pena di fare. Tre fra i miei registi preferiti — Christopher Nolan, Xavier Dolan e Paul Tom Anderson — dicono: facciamo il grande cinema, non l’interazione. Sono d’accordo. In un’epoca di interattività forzata, dove se non cambi qualcosa che sia il canale o il giochino, dove perfino puoi scegliere da che inquadratura vedere una scena, è così bello restare passivi due ore, lasciare fare ad altri. Dobbiamo riscoprire la passività, l’abbandonarsi a un altro, come un atto di fiducia e anche come coccola.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Del resto hai tutto: scrittori che scelgono per te la storia migliore possibile e registi che te la mettono in scena; attori che te la interpretano al meglio; e sceneggiatori che lavorano perché le frasi recitate tu le senta tue. Diceva Roald Dahl: adoro spaventare i bambini con le mie storie. E aggiungeva: ma loro adorano farsi spaventare. Perché a un certo punto succede proprio così: loro ti passano il testimone e ti chiedono di riempire una, due, tre ore del loro tempo con qualcosa che da soli non saprebbero fare.
GABRIELE SALVATORES — Cinema e letteratura sono, tra virgolette, «autoritari». Siamo noi che decidiamo in quale storia devi entrare. Addirittura nel cinema vedi solo un quadrato sullo schermo, il resto non esiste. L’idea è un po’ questa: ho fatto un sogno, te lo faccio vedere, ti lascio gli spazi per entrare. Però tu quelle due ore me le devi dare.
Per fare film e scrivere libri ci vuole mestiere e passione. Come si fa a competere con chi fa una pernacchia di pochi secondi sui social network e ottiene milioni di visualizzazioni?
PIERDOMENICO BACCALARIO e GABRIELE SALVATORES — Con il tempo.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Vince l’onestà intellettuale di fare del proprio meglio, fregandosene del resto; non leggo recensioni, non so niente di ciò che si dice di me: finito un libro voglio fare il libro dopo.
GABRIELE SALVATORES — Bisogna resistere a questa ubriacatura. Pensa ai selfie: metti la tua faccia davanti e dietro c’è il mondo. Dobbiamo rivalutare lo spazio della lettura o della visione di un film, che è personale.
«Siamo di nuovo orfani» è una frase dal film che si presta a una riflessione sulle figure genitoriali e sul loro ruolo. Nel film e fuori.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Essere orfani nella letteratura per ragazzi è la condicio sine qua non per l’avventura. O sei orfano o non ti succede nulla. Per uno scrittore la prima cosa da fare è togliere di mezzo i genitori. Nella vita ho due figlie, una più grande di cui sono papà adottivo, ho passato i primi anni a capire come entrare nella famiglia. Mi piace molto l’idea nel film che la madre vera sia quella che si prende cura di te.
GABRIELE SALVATORES — Certo, basta pensare a L’anello di re Salomone e a Il cerchio di gesso del Caucaso di Brecht. Sul lato personale quando abbiamo fatto Marrakech Express Diego Abatantuono si stava separando dalla moglie. E nei film successivi mi sono innamorato della sua ex moglie; ho cresciuto sua figlia, che oggi ha trent’anni. All’inizio è stata dura.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Con mia figlia all’inizio ho fatto l’amico, ma non funzionava perché non hai l’autorità per dire cosa fare.
GABRIELE SALVATORES — Autorità, appunto. Un regista, uno scrittore deve prendersi la responsabilità di dire questo è bianco o è nero e anche di essere mandato aff… E anche da genitore devi fare delle scelte.
PIERDOMENICO BACCALARIO — Il tempo dirà se sei stato un buon genitore o meno. E nelle produzioni artistiche se ancora il tuo film viene visto o i tuoi libri letti.
Infine, da ragazzi che superpotere volevate avere?
PIERDOMENICO BACCALARIO — Volevo avere gli amici, volevo non essere solo. Sono un notaio mancato, nato in una famiglia di notai dal 1400. Era il mio destino, ma sarei stato solo, invece lavoro con scrittori, artisti e persone che spero siano anche amici.
GABRIELE SALVATORES — Sono di famiglia napoletana, mio padre era avvocato e dovevo fare l’avvocato. Dopo quasi tre anni di Giurisprudenza ho detto a mio padre che volevo fare teatro, l’unico avvocato in cui riuscivo a riconoscermi era Jack Nicholson in Easy Rider . Sono arrivato a Milano nel 1956, c’erano le scritte «Non si affitta ai meridionali»; ho vissuto l’infanzia piuttosto di risse e botte perché parlavo diverso; tifavo Napoli, poi a furia di vessazioni mi hanno costretto a scegliere una delle due squadre milanesi: ha vinto quella con un po’ di azzurro, l’Inter. Il superpotere che avrei voluto avere è in una frase in Zelig di Woody Allen: vorrei essere amato.
Domenica 17 Dicembre 2017, La Lettura.