Artisti, filosofi, urbanisti, attivisti: il realismo spietato del nuovo Sud.

Nel 2005 lo scrittore martinicano Édouard Glissant ha pubblicato un libro, Il pensiero del tremore (edito da Scheiwiller nel 2008). L’incipit: un’arringa contro la «mondializzazione», che è «sinonimo di uniformazione dal basso, regno delle multinazionali, standardizzazione, (…) processione di luoghi comuni». A questo mito postmodernista, secondo Glissant, bisogna contrapporre la «mondialità». Una «realtà prodigiosa». Che ci invita ad andare al di là delle nostre pulsioni, dei nostri interessi individuali e sistemi di pensiero. Ci proietta in quella «avventura senza precedenti che oggi ci è dato vivere, e in un mondo (…) tanto immediato, folgorante, (…) molteplice e uno, e inestricabile». E ci fa vibrare dei medesimi palpiti del presente. Si tratta di un Tutto, nel quale ogni frammento si «creolizza», si moltiplica e si contamina.

Con toni profetici, Glissant scriveva: «Agisci nel tuo Luogo, pensa con il Mondo». Parole di cui potremmo servirci per accostarci a Cosmopolis , originale progetto critico appena inaugurato dal Centre Pompidou di Parigi. Non una «semplice» esposizione, ma una piattaforma (biennale) che prevede, insieme con alcuni momenti espositivi, un fitto programma (di ricerche, residenze, seminari, spettacoli) dedicato alla storia delle società indigene, all’ecologia, alla geopolitica e all’economia di alcuni Paesi in via di sviluppo. Articolato in tre passaggi, questo palinsesto, idealmente, muove da due mostre quasi leggendarie (organizzate dal Pompidou) — Les Magiciens de la Terre (1989) e Africa Remix (2005) — che avevano avviato un ripensamento dei rapporti tra Nord e Sud del nostro pianeta, contribuendo a ridefinire i confini delle teorie post-colonialiste. Nel riprendere il filo di quegli itinerari pionieristici, Cosmopolis mira a documentare le proposte di esperienze e pratiche collettive maturate in Africa, in Asia e in America Latina, restituendo un piano-sequenza inatteso e mobile.

Interpreti di paradigmi culturali radicalmente mutati rispetto al passato, lontani dall’ art system , gli artisti di Cosmopolis condividono alcune intenzioni etiche ed estetiche. Per loro, l’arte è il mezzo, non il fine: strumento per aderire alle imperfezioni del presente e per indagare certe rilevanti questioni sociali, politiche ed economiche. Scritture della cronaca, lungi dall’aspirare a essere finite e risolte, le loro opere appaiono inesatte, caotiche. Talvolta, questi artisti si limitano a ritrarre barlumi di esistenze scattando fotografie di taglio reportagistico. Più spesso ci consegnano gesti e situazioni: riviste, piccoli centri di accoglienza, improvvisati ristoranti e biblioteche…

Provenienti da latitudini diverse, queste personalità non sono «solo» artisti, ma sociologi, urbanisti, cineasti, fotoreporter, attivisti. Architetti di visioni estratte da paesaggi attraversati da comunicazioni veloci, migrazioni, conflitti, contatti difficili tra culture differenti. Animatori di un realismo estremo e spietato, che evita ogni estetizzazione del male. Testimoni critici delle convulse dinamiche metropolitane attuali. Figure ambigue, che si affidano a uno sguardo «cosmopolita» (per servirci di una categoria cara a Ulrich Beck): partecipi di un contesto planetario «a rischio», ma anche attenti a difendere le ragioni della propria storia e «condizione locale». Consapevoli che, in uno scenario dominato da pericoli e crisi globali, le tradizionali distinzioni tra dentro e fuori, tra nazionale e internazionale, tra noi e gli altri, perdono il loro carattere vincolante: per questo essi scelgono di iscrivere il proprio lavoro all’interno della cornice del multiculturalismo. Cittadini della propria nazione e, insieme, del mondo. Capaci di tutelare se stessi aprendosi al diverso. Sapienti nel costruire ponti, non muri. Questa tensione politica ha significative ricadute sul piano operativo e poetico. Distanti da visioni solipsistiche di tipo romantico, gli artisti «cosmopoliti» danno vita a network plurali e promuovono collaborazioni con altre figure professionali (architetti, fotografi, antropologi, filosofi). Creare, per loro, significa fare insieme con altri.

Infine, per questi autori, essere cosmopoliti significa comportarsi da «mediatori», inclini a mettere in contatto elementi culturali, sociali e linguistici eterogenei, tessendo reti di relazioni e opportunità. In sintonia con gli esiti più avanzati della ricerca artistica internazionale, ma anche impegnati a salvaguardare la specificità della realtà dove sono nati e in cui si trovano, servendosi di media diversi (pittura, scultura, fotografia, video). Sostenitori di una concezione del fare artistico come navigazione veloce, che permette di passare da un soggetto a un altro, da una tecnica a un’altra. In bilico tra l’incontro con il «diverso» e la riaffermazione della propria identità.

Ancora Glissant: «Agisci nel tuo Luogo, pensa con il Mondo».

 

Domenica 12 Novembre 2017 La Lettura.

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