Il dibattito su chi debbano essere i candidati premier dei vari schieramenti per le prossime elezioni non è solo fasullo, ma anche demenziale.
Prima di tutto perché inganna i cittadini: il sistema elettorale con cui andremo al voto è per due terzi proporzionale e non prevede nessuna indicazione del presidente del Consiglio. Inoltre il sistema tripolare in cui ci troviamo non permetterà ad alcun partito di arrivare ad avere la maggioranza da solo. Così dopo le elezioni assisteremo a trattative e mediazioni tra le forze politiche o all’interno delle coalizioni per trovare figure che siano punti d’equilibrio. Questo i cittadini lo devono sapere con chiarezza: la stagione del maggioritario e del nome del premier sulla scheda è finita con il referendum di un anno fa e il nuovo sistema elettorale l’ha definitivamente archiviata.
Il fatto che questo però continui a essere materia del contendere a sinistra è anche autolesionista. Infatti la coalizione che oggi sembra avere più possibilità di affermarsi, il centrodestra, ha accuratamente evitato il problema, sapendo quanto divisivo e inutile sia affrontare ora questa discussione. L’accordo tra Berlusconi e Salvini è che a indicare il possibile capo del governo sarà il partito che prende un voto in più.
Sapendo, al di là della prevedibile propaganda, che l’incarico non spetterà a nessuno di loro due.
Il Movimento 5 stelle ha scelto Di Maio, per darsi una guida parlamentare e mettere fine a fibrillazioni e dibattiti interni, ma nessuno può credere che da soli conquisteranno la maggioranza dei seggi parlamentari, così – anche in questo caso – ogni ipotesi di mediazione, di coalizione o di governo che cerchi convergenze in Parlamento partirà proprio dalla scelta di una figura di area che sia meno connotata.
A sinistra invece si è scelto di giocare al massacro su un falso problema: da un lato Renzi si è arroccato in difesa, ha ricominciato a propagandare una vocazione maggioritaria e ad immaginare di arrivare al 40 per cento, dall’altro si va creando intorno a Grasso un piccolo cartello elettorale che ha come nemico proprio il Pd e non Salvini, Berlusconi o Grillo.
Le aperture e le prove di dialogo, fatte in questo clima e su queste basi, sono solo finzione. Un gioco del cerino per addebitare alla controparte la responsabilità della divisione. Un combinato disposto che minaccia di consegnare la sinistra italiana all’irrilevanza, come è accaduto domenica in Sicilia.
Eppure l’obiettivo dovrebbe essere chiarissimo ed è davanti ai nostri occhi: sconfiggere i due populismi italiani che oggi si contendono la guida del Paese.
Purtroppo non c’è stato nemmeno questa volta, come non ci fu dopo la sconfitta al referendum, un vero cambio di passo da parte di Renzi. Un autentico ripensamento. La consapevolezza che i risultati propagandati non corrispondono al percepito dei cittadini. Inutile ripeterli ad ogni occasione, se non sono riusciti a fare la differenza nella vita delle persone, allora bisognerà chiedersi il perché.
Matteo Renzi aveva dato grande speranza all’Italia, ma poi ha perso il contatto con il Paese, non è riuscito a cogliere il malessere e le paure, che non andavano certo inseguite ma invece comprese e affrontate. La chiave non era andare da Obama alla Casa Bianca, farsi vedere innovatore accanto a Jeff Bezos e parlare delle eccellenze, così come oggi non potrà essere cercare una sponda in Macron, ma mostrare di capire i bisogni e le sofferenze. Quello che è mancato è l’ascolto.
Da molti anni la sinistra italiana – come ha sottolineato ieri Ezio Mauro – ha mostrato grande senso di responsabilità, lo ha fatto sacrificando spesso totem e tradizioni, lo ha fatto per superare passaggi drammatici. Ora si rende conto del costo che questo ha comportato, ma la risposta non può essere praticare l’irresponsabilità per far vedere che si è vivi e vicini alla gente. La sinistra, o perlomeno quell’area che si usa chiamare progressista o democratica e che è in profonda crisi in tutto l’Occidente, deve avere il coraggio di guardarsi dal fascino della convenienza, del cavalcare le pulsioni del momento, le parole d’ordine dei populismi, prima di tutto perché inutile elettoralmente, secondo perché non viene capito nemmeno dai tuoi.
Allora non resta che la strada della convinzione. Essere convinti delle proprie idee, avere il coraggio di aggiornarle, di metterle a fuoco e di mostrarle. Quale progetto di Paese, di società, di sviluppo, quale agenda di diritti e doveri e quale anima. Svegliarsi una mattina e cominciare a cannoneggiare la Banca d’Italia accodandosi ai professionisti della demolizione è una scorciatoia pericolosa. Se sei forza di governo e credi ci siano stati errori e omissioni allora crei le condizioni per un cambio di Governatore, non permetti la riconferma tenendoti le mani libere per gridare allo scandalo.
Allo stesso modo ci si chiarisce sull’innalzamento dell’età pensionabile, non si lascia la patata bollente al governo, come fosse altro dal Pd, per prenderne poi le distanze. Si decide se spiegare, con coraggio, al Paese che è una scelta faticosa ma necessaria a non scaricare il costo della rinuncia sulle generazioni più giovani e meno tutelate (o per nulla tutelate) o ad avere quel di più di flessibilità che ha permesso di evitare nuove tasse o maggiori tagli alle spese. Oppure si decide di non cambiare le regole pensionistiche e di lasciare il problema in eredità al prossimo governo, ma lo si dice con forza e chiarezza sapendo che questo comporta dei costi.
Così i vitalizi, una parte del Pd non accetta di modificarli ma Renzi vuole cavalcare il tema per non lasciare questa carta nelle mani di Grillo. Anche qui le strade sarebbero due: o convinci il tuo partito della bontà della cosa o ne capisci le ragioni. Bombardare il quartier generale è l’unica mossa che dovrebbe essere evitata, soprattutto perché il quartier generale è il tuo e pensare che le macerie possano affascinare gli elettori sembra davvero un calcolo sbagliato.
Il voto siciliano dovrebbe contemporaneamente imporre una seria riflessione a Bersani e soci, i quali farebbero bene a chiedersi come mai, se sono così in sintonia con il “vero” popolo di sinistra, restano tanto minoritari e ininfluenti. Pensare che le prossime elezioni saranno l’occasione per la conta e per eliminare un segretario che è considerato un marziano è suicida. Stiamo assistendo ad uno spettacolo che non conquista i cuori e nemmeno le menti ma spinge l’elettorato progressista verso l’astensione e il disgusto.
Ci si fermi un attimo a pensare come sia possibile aver lasciato campo libero a forze neofasciste e xenofobe come CasaPound, che in alcuni quartieri di Ostia è arrivata al 20 per cento sostituendosi all’azione che un tempo era dei sindacati o delle sezioni e cavalcando paure e frustrazioni. Le risposte devono partire da qui, non perdendosi in gabbie burocratiche e lotte fratricide, ma parlando il linguaggio della verità e mostrando di avere una visione del futuro. Altrimenti non ci resta che fare nostro un verso di William Yeats, citato domenica da Franco Marcoaldi nella sua rubrica su Robinson, “I migliori perdono ogni convinzione / mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità”.
Prima di tutto perché inganna i cittadini: il sistema elettorale con cui andremo al voto è per due terzi proporzionale e non prevede nessuna indicazione del presidente del Consiglio. Inoltre il sistema tripolare in cui ci troviamo non permetterà ad alcun partito di arrivare ad avere la maggioranza da solo. Così dopo le elezioni assisteremo a trattative e mediazioni tra le forze politiche o all’interno delle coalizioni per trovare figure che siano punti d’equilibrio. Questo i cittadini lo devono sapere con chiarezza: la stagione del maggioritario e del nome del premier sulla scheda è finita con il referendum di un anno fa e il nuovo sistema elettorale l’ha definitivamente archiviata.
Il fatto che questo però continui a essere materia del contendere a sinistra è anche autolesionista. Infatti la coalizione che oggi sembra avere più possibilità di affermarsi, il centrodestra, ha accuratamente evitato il problema, sapendo quanto divisivo e inutile sia affrontare ora questa discussione. L’accordo tra Berlusconi e Salvini è che a indicare il possibile capo del governo sarà il partito che prende un voto in più.
Sapendo, al di là della prevedibile propaganda, che l’incarico non spetterà a nessuno di loro due.
Il Movimento 5 stelle ha scelto Di Maio, per darsi una guida parlamentare e mettere fine a fibrillazioni e dibattiti interni, ma nessuno può credere che da soli conquisteranno la maggioranza dei seggi parlamentari, così – anche in questo caso – ogni ipotesi di mediazione, di coalizione o di governo che cerchi convergenze in Parlamento partirà proprio dalla scelta di una figura di area che sia meno connotata.
A sinistra invece si è scelto di giocare al massacro su un falso problema: da un lato Renzi si è arroccato in difesa, ha ricominciato a propagandare una vocazione maggioritaria e ad immaginare di arrivare al 40 per cento, dall’altro si va creando intorno a Grasso un piccolo cartello elettorale che ha come nemico proprio il Pd e non Salvini, Berlusconi o Grillo.
Le aperture e le prove di dialogo, fatte in questo clima e su queste basi, sono solo finzione. Un gioco del cerino per addebitare alla controparte la responsabilità della divisione. Un combinato disposto che minaccia di consegnare la sinistra italiana all’irrilevanza, come è accaduto domenica in Sicilia.
Eppure l’obiettivo dovrebbe essere chiarissimo ed è davanti ai nostri occhi: sconfiggere i due populismi italiani che oggi si contendono la guida del Paese.
Purtroppo non c’è stato nemmeno questa volta, come non ci fu dopo la sconfitta al referendum, un vero cambio di passo da parte di Renzi. Un autentico ripensamento. La consapevolezza che i risultati propagandati non corrispondono al percepito dei cittadini. Inutile ripeterli ad ogni occasione, se non sono riusciti a fare la differenza nella vita delle persone, allora bisognerà chiedersi il perché.
Matteo Renzi aveva dato grande speranza all’Italia, ma poi ha perso il contatto con il Paese, non è riuscito a cogliere il malessere e le paure, che non andavano certo inseguite ma invece comprese e affrontate. La chiave non era andare da Obama alla Casa Bianca, farsi vedere innovatore accanto a Jeff Bezos e parlare delle eccellenze, così come oggi non potrà essere cercare una sponda in Macron, ma mostrare di capire i bisogni e le sofferenze. Quello che è mancato è l’ascolto.
Da molti anni la sinistra italiana – come ha sottolineato ieri Ezio Mauro – ha mostrato grande senso di responsabilità, lo ha fatto sacrificando spesso totem e tradizioni, lo ha fatto per superare passaggi drammatici. Ora si rende conto del costo che questo ha comportato, ma la risposta non può essere praticare l’irresponsabilità per far vedere che si è vivi e vicini alla gente. La sinistra, o perlomeno quell’area che si usa chiamare progressista o democratica e che è in profonda crisi in tutto l’Occidente, deve avere il coraggio di guardarsi dal fascino della convenienza, del cavalcare le pulsioni del momento, le parole d’ordine dei populismi, prima di tutto perché inutile elettoralmente, secondo perché non viene capito nemmeno dai tuoi.
Allora non resta che la strada della convinzione. Essere convinti delle proprie idee, avere il coraggio di aggiornarle, di metterle a fuoco e di mostrarle. Quale progetto di Paese, di società, di sviluppo, quale agenda di diritti e doveri e quale anima. Svegliarsi una mattina e cominciare a cannoneggiare la Banca d’Italia accodandosi ai professionisti della demolizione è una scorciatoia pericolosa. Se sei forza di governo e credi ci siano stati errori e omissioni allora crei le condizioni per un cambio di Governatore, non permetti la riconferma tenendoti le mani libere per gridare allo scandalo.
Allo stesso modo ci si chiarisce sull’innalzamento dell’età pensionabile, non si lascia la patata bollente al governo, come fosse altro dal Pd, per prenderne poi le distanze. Si decide se spiegare, con coraggio, al Paese che è una scelta faticosa ma necessaria a non scaricare il costo della rinuncia sulle generazioni più giovani e meno tutelate (o per nulla tutelate) o ad avere quel di più di flessibilità che ha permesso di evitare nuove tasse o maggiori tagli alle spese. Oppure si decide di non cambiare le regole pensionistiche e di lasciare il problema in eredità al prossimo governo, ma lo si dice con forza e chiarezza sapendo che questo comporta dei costi.
Così i vitalizi, una parte del Pd non accetta di modificarli ma Renzi vuole cavalcare il tema per non lasciare questa carta nelle mani di Grillo. Anche qui le strade sarebbero due: o convinci il tuo partito della bontà della cosa o ne capisci le ragioni. Bombardare il quartier generale è l’unica mossa che dovrebbe essere evitata, soprattutto perché il quartier generale è il tuo e pensare che le macerie possano affascinare gli elettori sembra davvero un calcolo sbagliato.
Il voto siciliano dovrebbe contemporaneamente imporre una seria riflessione a Bersani e soci, i quali farebbero bene a chiedersi come mai, se sono così in sintonia con il “vero” popolo di sinistra, restano tanto minoritari e ininfluenti. Pensare che le prossime elezioni saranno l’occasione per la conta e per eliminare un segretario che è considerato un marziano è suicida. Stiamo assistendo ad uno spettacolo che non conquista i cuori e nemmeno le menti ma spinge l’elettorato progressista verso l’astensione e il disgusto.
Ci si fermi un attimo a pensare come sia possibile aver lasciato campo libero a forze neofasciste e xenofobe come CasaPound, che in alcuni quartieri di Ostia è arrivata al 20 per cento sostituendosi all’azione che un tempo era dei sindacati o delle sezioni e cavalcando paure e frustrazioni. Le risposte devono partire da qui, non perdendosi in gabbie burocratiche e lotte fratricide, ma parlando il linguaggio della verità e mostrando di avere una visione del futuro. Altrimenti non ci resta che fare nostro un verso di William Yeats, citato domenica da Franco Marcoaldi nella sua rubrica su Robinson, “I migliori perdono ogni convinzione / mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità”.
La Repubblica – MARIO CALABRESI – 08/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.