Le elezioni regionali in Sicilia sono un laboratorio da tenere sotto controllo, dato che hanno già dato prova di anticipare esiti elettorali che poi si sono verificati a livello nazionale oltreché in altri contesti regionali. È precisamente quanto è accaduto nel 2012, quando il sostanziale esito tripolare si riprodusse poi a livello nazionale nel 2013 e a cascata anche nel successivo ciclo-elettorale 2013-2015 delle regioni a statuto ordinario, tanto che si parlò di elezioni critiche (Bolgherini – Grimaldi 2017*). Anche oggi l’appuntamento siciliano è visto con notevole interesse per capire come potrà configurarsi l’assetto delle prossime elezioni politiche.
Guardando al numero dei candidati presidenti il risultato delle elezioni del 2012 ha anticipato quanto è avvenuto per le regioni a statuto ordinario nel ciclo 2013-2015. Infatti, nel 2012 oltre alla candidatura del M5S, la coalizione di centrodestra si spaccò determinando la proliferazione dei candidati presidenti. In particolare, la strategia della non alleanza del M5S e lo scontro tra due candidati di peso come Nello Musumeci, sostenuto dal PDL e Gianfranco Miccichè sostenuto da MpA, Grande Sud e FLI è stato la causa della vittoria della coalizione di centrosinistra, in una regione che fino a quel momento era considerata non contendibile con il centrodestra ininterrottamente al governo dal 1996. Questo scenario si è tendenzialmente replicato anche in altre realtà regionali: nel ciclo 2013-2015 l’aumento dei candidati presidenti è da rintracciarsi sia nell’accresciuta capacità del M5S di presentare candidati in tutto il territorio, sia nei contrasti interni alla coalizione di centrodestra. Basti pensare alla spaccatura tra Forza Italia e la Lega Nord che determinò candidature contrapposte in Toscana e nelle Marche e alla spaccatura tutta interna alla Lega in Veneto (Zaia vs. Tosi) e a FI in Puglia (Fitto vs. Poli Bortone). In queste ultime elezioni, invece, i candidati siciliani si sono dimezzati passando da 10 a 5, in particolare, la coalizione di centrodestra sembra aver fatto tesoro della lezione del 2012 ed è riuscita a presentarsi unita con la candidatura dell’ex presidente della provincia di Catania Nello Musumeci.
Tuttavia, persistono alcune peculiarità tutte siciliane; innanzitutto lo scarso rendimento del centrosinistra nell’isola che è calato in seguito alla performance non proprio brillante dell’amministrazione Crocetta e il voto persistente per il centrodestra, nonostante le ottime performance del M5S. Infatti, la coalizione di centrodestra si attesta al 42,1% e FI guadagna 3,5 punti rispetto al 2012, La coalizione di centrosinistra perde 5 punti rispetto al 2012 fermandosi al 25,4%, e il PD è sostanzialmente stabile (13% -0,4 punti). Nonostante il partito di Berlusconi abbia quasi sempre avuto successo in Sicilia, raramente ha superato il 30% (solo nel 2008 il PDL ottenne il 33,4%) e comunque non è mai riuscito a esprimere il vertice della regione che è appartenuta prima ai post-democristiani di destra, cioè a Cuffaro (CCD, UDC), e a Lombardo (MpA) e oggi a Musumeci, un conservatore di destra che ha militato nel MSI, in AN e nella Destra.
D’altro canto l’indice di bipartitismo (cioè la somma dei voti dei primi due partiti) dimostra che in Sicilia la dispersione del voto è sempre stata elevata. Infatti, raramente i primi due partiti opposti hanno superato il 50% dei voti (con l’eccezione del 2008, quando il PDL e il PD totalizzarono il 52,3%). Nel 2012 il primo partito, il M5S, e il secondo, il PD, totalizzarono appena il 28,3%. In effetti, in Sicilia lo scarto con le regioni a statuto ordinario è stato particolarmente elevato nel 1996 (16,8), nel 2006 (13,4) e nel 2012 (17,2). Nelle attuali elezioni il primo partito, il M5S si assesta al 26,7%, mentre FI al 16,4% per un totale del 43% in sostanziale aumento rispetto al 2012, ma pur sempre sotto la soglia del 50%.
Dal 2012 inoltre la competizione bipolare è saltata del tutto. Infatti, l’indice di bipolarismo (cioè la somma dei voti delle due maggiori coalizioni) che nell’arco temporale 2000-2010 è stato abbastanza simile a quello delle regioni a statuto ordinario è sceso bruscamente al 55,1% nel 2012, mentre nelle regioni a statuto ordinario nel 2015 il dato medio era del 75,3%. Questo scarto è sostanzialmente dovuto al fatto che il M5S era ancora una forza emergente nel 2012, mentre dal 2013 in poi ha iniziato a dimostrare crescenti capacità di successo anche a livello subnazionale consolidandosi come effettivo terzo polo. Tuttavia, si noti che il risultato siciliano del M5S del 2012 (14,9%), è pari al risultato medio del partito nelle regioni a statuto ordinario nell’intero ciclo 2013-2015 (15%). Inoltre, se gli exploit più significativi del M5S alle regionali sono stati quelli in Liguria nel 2015 (22,3%) e quelli in Piemonte e Abruzzo nel 2014 (rispettivamente 20,35% e 21,36%), il dato siciliano del 2017 registra la miglior performance del M5S di tutte le elezioni regionali tenutesi finora (26,7%). Proprio grazie al successo dei pentastellati l’indice di bipolarismo nel 2017 è risalito attestandosi al 68,8%, un risultato comunque basso rispetto ai dati dal 2001 al 2008. La principale novità riguarda la composizione dell’indice di bipolarismo che non è data dalla somma dei voti delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra, bensì dalla somma dei voti del centrodestra (il primo polo) e quelli del M5S (il secondo polo). Oggi è il centrosinistra a essere il terzo polo.
L’ultimo aspetto che segna una certa continuità è dato dal rendimento delle candidature alla presidenza rispetto all’andamento delle liste a esse collegate. Infatti, dal 2001 al 2008 i candidati presidenti vincenti hanno sempre ottenuto meno voti della somma delle liste a loro collegate. Il differenziale è stato del 6,2 nel 2001, 8,4 nel 2006 quando vinse Cuffaro e 2,8 nel 2008 quando vinse Lombardo. Al contrario, i principali competitor di centrosinistra (Orlando, Borsellino e Finocchiaro) ottenevano più voti delle liste a loro collegate. Tuttavia, avere dei buoni candidati non è stata una condizione sufficiente per vincere le elezioni. Paradossalmente nel 2012 il candidato vincente di centrosinistra ottenne lo stesso numero di voti della somma delle liste collegate e il candidato del M5S, Cancelleri, ottenne più voti della sua lista (3,3). Anche in queste elezioni, il candidato di centrodestra vincente, Musumeci ha ottenuto meno voti delle liste a lui collegate attestandosi al 39,8% (-2,3 punti). Il candidato del M5S con il 34,7% ha superato il risultato della lista a lui collegata di ben 8 punti, mentre per la prima volta il candidato del centrosinistra Micari col 18,7% non ha superato il risultato delle liste a lui collegate (-6,7 punti).
La partecipazione elettorale in Sicilia è sempre stata inferiore alla media delle altre regioni: dalle elezioni del 1971 fino a quelle del 1996 il differenziale con le regioni a statuto ordinario è stato in media di 11,7 punti percentuali. Tuttavia, dal 2001 la partecipazione ha iniziato a calare notevolmente anche nel resto d’Italia; infatti, dal 2000 al 2015 lo scarto medio tra la Sicilia e il resto delle regioni a statuto ordinario è stato di appena 5,8 punti. Anzi, nel 2008 in Sicilia la partecipazione è stata più alta (66,68%) che nelle regioni a statuto ordinario (che nel 2010 era in media 62,34%). Inoltre, se le elezioni regionali del 2012 registravano un’affluenza davvero bassa, appena il 47,4%, nel ciclo 2013-2015 hanno fatto peggio della Sicilia, l’Emilia Romagna e la Calabria (rispettivamente 37,7% e 44,1%), mentre hanno avuto una performance similare Toscana, Marche e Basilicata, mentre l’affluenza media nelle regioni a statuto ordinario è stata del 55,5%. Anche in queste ultime elezioni regionali l’affluenza risulta tendenzialmente bassa, 46,7%, ma con una flessione minima rispetto al 2012, ossia di -0,7 punti percentuali.
Concludendo, queste elezioni regionali confermano un quadro prevedibile: vincono l’astensione (53,3%) e il M5S (26,7%), il quale tuttavia non riesce a conquistare il governo della regione, di conseguenza la coalizione di centrodestra torna al potere riconfermando il sostanziale conservatorismo dell’elettorato siciliano (Cerruto – Raniolo 2008**). Tra gli sconfitti si annovera AP, (in coalizione col centrosinistra), che non supera la soglia di sbarramento, dato che molti luogotenenti alfaniani hanno preferito appoggiare Musumeci, e il centrosinistra che appare in affanno e subisce la divisione con la sinistra radicale che supera il 5% di un soffio. Tuttavia, anche sommando il risultato della sinistra radicale con quello del centrosinistra non si riuscirebbe ad arrivare vicini al risultato del centrodestra (30,6% vs. 42,1%). Forse, anche la scelta del candidato ha contribuito a questo risultato, dato che è plausibile che molti elettori del PD abbiano utilizzato il voto disgiunto, votando cioè per Cancelleri o Musumeci invece che per Micari.
* S. Bolgherini – S. Grimaldi, Critical election and a new party system. Italy after the 2015 regional election, in «Regional and Federal Studies», 2017, vol. 27, n. 4, pp. 483-505.
** M. Cerruto – F. Raniolo, Dal partito dominante alla coalizione dominante. Le elezioni regionali in Sicilia (1947-2008), in «Quaderni dell’osservatorio elettorale», 2009, n. 61, pp. 41-98.
Crediti immagine: illustrazione di Sergio Staino