di Daniele Manca
Ancora una volta la riforma delle banche popolari potrebbe non essere varata. Più volte in Parlamento sono arrivati progetti di riforma, la Banca d’Italia ha tentato in tutti i modi di superare quelle norme che sono alla base del funzionamento di questi istituti. E che si basano sul principio di una testa un voto per approvare i bilanci, decidere i vertici, che si abbia un milione di azioni o una soltanto si conta alla stessa maniera. Un sistema che ha permesso di organizzare il controllo sugli istituti a partire dal consenso e non dalle cose da fare. E chi è il campione nella creazione del consenso? La politica. E così il legame con il territorio, che nei casi virtuosi è significato assistere le imprese migliori, in quelli peggiori non si è trasformato solo in inefficienza, ma anche in pesanti scandali. Lodi, Novara, Milano, l’elenco è lungo. E altrettanto lungo quello dei politici schierati a difesa. Non c’è solo il colorito Salvini della Lega, ma lo schieramento è trasversale con esponenti in tutti i partiti dal Pd passando per Forza Italia arrivando alle sigle minori. Tutti pronti a bloccare qualsiasi riforma. Cosa che ha impedito in passato di avviare quel processo graduale, non esente da traumi, che dovrà portare alla separazione delle fondazioni dalle banche. Difficile pensare che le popolari possano resistere per molto tempo ancora. La foglia di fico delle modalità scelte dal governo non riesce a coprire la debolezza strutturale del settore. La frammentazione del sistema creditizio italiano è seconda solo a quella tedesca. Le aggregazioni tra istituti minori e più grandi non può attendere. Il rafforzamento e l’irrobustimento del sistema, ossatura economica del Paese, non può essere frenato dagli interessi di chi riesce a organizzare poche centinaia o migliaia di votanti per mantenere il proprio potere. Inutile chiedere a Draghi di far arrivare denaro all’economia se chi poi dovrà gestire quei soldi sarà guidato da interessi di corporazione o peggio di bottega e li userà per tappare propri buchi. Pensare poi che il già avvenuto passaggio della vigilanza sugli istituti da Roma a Francoforte possa garantire una maggiore distanza è un grande errore. Anzi. La vista corta ci garantirà per l’ennesima volta che l’agenda delle nostre riforme venga dettata fuori dai confini nazionali. Che bel risultato.