M5S, Fico toglie i gradi a Di Maio “Non è lui il capo del movimento”.

ANNALISA CUZZOCREA
RIMINI.
Finisce con Beppe Grillo che fa un giro tra i gazebo della festa di Rimini, sotto nuvoloni neri che preparano il diluvio. «È bellissimo non essere più il capo », dice in un sospiro. Ma poi quasi a voler rassicurare – «c’è una continuità meravigliosa». Gli insulti ai giornalisti (la gag di ieri prevedeva soldi finti distribuiti «per continuare a parlar male del Movimento») sono ormai un refrain spento e un po’ insensato. La continuità non c’è, e Grillo lo sa bene. L’intervista sul palco a Luigi Di Maio, con le domande arrivate dalla base, mostra che il nuovo capo è la negazione del mattatore che lo ha preceduto: il vicepresidente della Camera ripete un copione noto senza scartare di un millimetro (le imprese che non possono pagare le tasse se lo Stato non le paga, le riforme da fare in deficit, le lobby che inquinano il sistema, la legge elettorale fatta contro il Movimento). Le stesse cose dette al mattino ai giornali stranieri (da El Pais al Wall Street Journal, ai quali ha aggiunto solo qualche passaggio in più: il referendum sull’euro come ultima ratio se l’Europa non ascolta le ragioni dell’Italia, la Corea del Nord sulla quale condivide le apprensioni degli Stati Uniti). Ha preso da poco la parola, il neo eletto candidato premier, quando Roberto Fico decide di entrare dai cancelli aperti ai militanti, facendo tutta la trafila, compreso il braccialetto bianco col codice a barre. Chi glielo infila scherza: «Non è la festa dell’Unità». Il presidente della Vigilanza non la prende bene: «Hai fatto felici i giornalisti». Poi si immerge nel bagno di folla e di selfie con chi gli dice: «Sei il più coerente», «Non mollare », «Devi parlare di più, andare in televisione, dare più interviste ». Sorride, Fico. Quel poco che ha detto mezz’ora prima nella hall del suo albergo – ha già fatto scattare gli allarmi del sistema Casaleggio. Ha ripetuto i ragionamenti fatti da Grillo e da dimaiani di ferro come Danilo Toninelli, il leader degli ortodossi. «Dire che il candidato premier è il capo della forza politica riguarda la presentazione del simbolo alle elezioni, non la vita del Movimento». Poi ha invitato a risolvere i problemi, «che ci sono, con la massima lealtà e la massima chiarezza: serve un meccanismo giusto e trasparente per arrivare a una linea comune».
Niente di rivoluzionario, ma abbastanza perché la comunicazione cominci a lavorare a una dura reprimenda da pubblicare sul blog. Fico la blocca con una dichiarazione all’Agi che vorrebbe essere una ritrattazione: «Nessun gelo su Di Maio, rispetto il risultato del voto». Pericolo scampato. Per ora. Perché la pace tentata sabato sera – con il candidato premier che voleva che il suo silente oppositore salisse sul palco a legittimare la sua corona – non è mai scoppiata e non appare nemmeno all’orizzonte. I pochi che hanno il coraggio di sostenere ancora Fico, il senatore Nicola Morra, i deputati Giuseppe Brescia e Carlo Sibilia, parlano di condivisione, partecipazione, scelte da fare in assemblea. Il gruppo di Di Maio vede invece il presidente della Vigilanza come un nuovo Giovanni Favia: un astro nascente delle origini di cui bisognerà presto fare a meno.
E mentre Grillo si ritaglia un ruolo di contorno – il blues sul palco, la catena al collo – Davide Casaleggio si prende la scena e chiude la festa ricordando che lui c’è da sempre: «Dalla Woodstock a 5 stelle, da Cesena, dagli albori del Movimento, quando avevamo le tende piantate davanti al palco». Parla dell’impacciato sistema Rousseau su cui si è votato per il candidato premier come «un nuovo spazio di democrazia che dobbiamo difendere». Invita tutti a essere «una squadra di volontari ignoti» a disposizione di Luigi Di Maio. Ringrazia gli organizzatori, i suoi fedelissimi Max Bugani, consigliere comunale bolognese, e Max Borrelli, europarlamentare, annunciando 50mila presenze. E lancia un’iniziativa per il 19 novembre, «una cosa cui teneva mio padre, decine di migliaia di alberi da piantare in tutt’Italia “per far rinascere la vita». Ovazione anche per lui, che sembra aver messo da parte l’esagerata timidezza. Come Di Maio, parla di “smart nation”, e con lui si prepara alla conquista del nord produttivo. La prima uscita pubblica del candidato è questo pomeriggio a Milano in un incubatore di start up. Poi c’è sempre la Sicilia, ma su questo il vicepresidente della Camera il copione l’ha cambiato: «Non uso la Sicilia per la partita nazionale». I sondaggi vanno male, tanto vale cambiare obiettivo.
Fonte: La repubblica, www.repubblica.it/

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