LA METAMORFOSI DEI 5 STELLE INNERVOSISCE IL GARANTE.

di Massimo Franco

Le parole grevi di Beppe Grillo contro i giornalisti che ieri a Roma lo aspettavano sotto il suo albergo sono un indizio di nervosismo, prima che di aggressività. Non erano le solite battute irridenti che il leader del Movimento Cinque Stelle regala, circondato dall’alone di un trionfo imminente. Il «garante» ha mostrato un umore rabbioso e preoccupato. Il fatto che abbia incontrato nelle stesse ore anche il suo legale induce a pensare a un supplemento di inquietudine: la metamorfosi verso una silhouette di governo è tormentata.

Alla vigilia degli «Stati generali» di Rimini che dovrebbero indicare Luigi Di Maio come candidato premier, i Cinque Stelle sono sotto pressione. Si sentono aggrediti dai giornali, e reagiscono con un livore che tradisce debolezza. Di colpo, sembrano soffrire del pregiudizio, vero o falso che sia, nei loro confronti. L’impressione è che forse per la prima volta Grillo percepisca la potenziale fragilità del consenso costruito negli ultimi anni. I sondaggi continuano a dare il M5S in testa o appaiato al Pd, eppure non basta.

Il pasticcio delle liste alla Regione Sicilia, bloccate dalla magistratura, si aggiunge al sospetto che il risultato del 5 novembre sia imprevedibile. Nelle intenzioni, il voto nell’isola dovrebbe essere una specie di apripista in vista delle Politiche del 2018. Di Maio e Alessandro Di Battista hanno battuto il territorio in agosto. Le prossime settimane si presentano invece irte di ostacoli e di confusione politica. E promettono di pesare sulla corsa del loro candidato.

E alla spina siciliana si aggiunge quella di Roma, guidata dalla sindaca grillina Virginia Raggi. Per quanto il M5S la sostenga, la giunta arranca e le inchieste della magistratura continuano. Il Campidoglio è, di fatto, accerchiato. Non a caso ieri Grillo, nella sua sfuriata ha accusato i giornali di trattare male la città. E ha aggiunto che Raggi dovrebbe istituire un «assessore alle trappole, perché ogni giorno c’è una trappola»: a conferma che nell’Amministrazione capitolina le cose non vanno bene. Significa che il biglietto da visita di governo agli elettori italiani si sta un po’ sgualcendo; e a pochi mesi dalle Politiche.

L’ultimo elemento di tensione sono le votazioni che daranno a Di Maio il ruolo di candidato. È vero che difficilmente il grosso dei Cinque Stelle vedrebbe qualcun altro come aspirante premier. Sia Davide Casaleggio, proprietario della Piattaforma Rousseau, cassaforte degli iscritti e dei voti online, sia Grillo hanno da tempo puntato su di lui. Ma avrebbero preferito uno scontro con qualche esponente più in vista dei sette sconosciuti sfidanti di Di Maio. Per paradosso, il «no» di Roberto Fico, il duro e puro, a contrapporsi a lui viene additato come conferma di una designazione non pilotata. Il problema è che una parte del Movimento non ne è convinto.