E’ una grande e coraggiosa pagina di storia quella scritta ieri dalla Francia, nelle piazze di Parigi e di tante altre città, da Marsiglia a Strasburgo, da Lione a Bordeaux. Un Paese ferito dal terrorismo, da tempo intristito nel dibattito sul proprio declino, incupito dalla crisi economica e sbiadito sulla scena internazionale, ha ritrovato di colpo fermezza, unità, passione civile, orgoglio. Soprattutto l’orgoglio nel senso più nobile, che non lascia spazio a supponenza e sbavature, per calarsi nel senso collettivo di un momento alto e decisivo: io sono Charlie, tutti siamo Charlie e non abbiamo paura, hanno urlato due milioni di parigini. Una folla immensa, multicolorata, di ogni idea e spiritualità, come è il panorama sociale più autentico della Francia moderna.
I francesi, su questo terreno, sono davvero unici e impareggiabili. Spirito, storia, tradizioni e valori del Paese hanno rappresentato in queste ore tutto il mondo libero e hanno alzato la guardia contro il nemico subdolo e vigliacco insinuatosi nei meandri oscuri delle nostre società democratiche.
Da Place de la République a Place de la Nation si è avvertito quel «no pasarán» di un’attualissima linea Maginot, si è sentito l’ allons enfants della Marsigliese, il canto della Francia rivoluzionaria, ma anche della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità. Non c’è retorica in questo che lo storico Julliard ha definito «un maggio ’68 della sensibilità», poiché al di là dei discorsi ufficiali e degli appelli istituzionali al rassemblement , all’unità, la partecipazione popolare, oltre che immensa, è stata davvero spontanea e al tempo stesso consapevole della posta in gioco. La Francia piange i propri morti, chiede giustizia, fa sapere soprattutto che nulla e nessuno potrà mettere in discussione i suoi valori fondanti.
Quella di ieri è quindi anche una grande manifestazione di forza, senza isterie, senza stupide generalizzazioni, senza pregiudizi. Perché questo è il volto più autentico di un Paese che è Stato di diritto prima ancora di essere nazione; società civile che contiene ideologie, religioni, culture diverse e che non vuole essere incubatrice di odio e intolleranza.
È la Francia migliore, la Francia che amiamo, che si è risvegliata, che mette nell’angolo i profeti di sventura, i teorici del declino, i predicatori dell’oscurantismo, che sa ancora parlare al mondo libero. Un mondo unito, dall’America all’Africa, che ieri si è dato idealmente appuntamento a Parigi, rappresentato da decine di capi di Stato e di governo, da bandiere di Paesi e movimenti, da leader spirituali — ebrei, musulmani, cattolici — e persino da personalità (pensiamo a Netanyahu e Abu Mazen) ancora così distanti sulla strada del processo di pace dei loro popoli e ieri in marcia, insieme, a pochi centimetri l’uno dall’altro. E anche il mondo politico ha messo da parte divisioni e rivalità di solito esasperate per rinsaldare il «patto repubblicano» che è alla base della democrazia francese. Un patto da cui è stato escluso (o si è autoescluso per convenienza) il Fronte nazionale di Marine Le Pen, comunque presente nelle piazze di alcune città. Ci sarà tempo per valutare conseguenze, opportunità e tornaconto di questa «falla» che, in fin dei conti, segna anche la ripresa delle normali ostilità.
Dal terribile dramma di questi giorni resta soprattutto la speranza che il messaggio arrivi all’Europa, che gli europei comprendano che la campana di Parigi è suonata per tutti, che gli impegni solenni abbiano un seguito di scelte politiche coraggiose e di progetti coerenti, sia sui fronti interni sia sul fronte internazionale. La speranza che questa pagina di storia non si perda nelle miserie delle polemiche feroci, della speculazione politica, dei calcoli finanziari che stanno affondando — con i bilanci degli Stati — le premesse e i sogni di un’Europa migliore. Solo così il martirio di tanti innocenti avrà avuto almeno un senso.
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