L’introduzione di buona parte delle regole della finanza, in un mercato che negli anni ’80 era ancora un Far West, è merito degli stimoli, delle denunce e, per certi aspetti, delle proposte di Guido Rossi. Il grande giurista scomparso è stato forse il primo a importare in Italia la letteratura americana sulle regole delle attività economiche e finanziarie e a parlare di antitrust, insider trading, opa, concetti fino a quegli anni quasi sconosciuti. In questo, pur senza ricoprire stabilmente cariche pubbliche, egli è stato anche un civil servant. Ma la sua azione più efficace è stata senz’altro la denuncia e la contestazione; non è apparsa, tuttavia, di pari importanza nella costruzione. Si pensi, per esempio, alle dimissioni dalla presidenza Consob, dove lo aveva voluto Beniamino Andreatta, per contestare la mancata dotazione della Commissione, da parte del governo, di un autonomo regolamento e a seguito di un improvviso contrasto con la Banca d’Italia, poi rientrato, a proposito dell’aumento di capitale dell’Ambrosiano di Roberto Calvi. Fu necessario un lavoro intenso negli anni successivi, in particolare di Franco Piga chiamato alla presidenza dell’Authority e sulla cui gestione è aperta la riflessione storica, per attribuire alla Consob, senza denunce eclatanti ma con il concorso di insigni giuristi fra cui Sabino Cassese, una certa autonomia. Lo stesso si dica per i contrasti che scoppiarono con la Banca d’Italia allorché Rossi, senatore indipendente nelle liste del Pci, portò avanti il progetto di legge antitrust, dopo circa un secolo dallo Sherman Act americano. Le divergenze riguardavano la sottoposizione delle banche a tale disciplina, ma dopo una serie di clamorosi annunci esse trovarono composizione in un incontro del professore con Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore a Via Nazionale. Contrasti si manifestarono anche a proposito della redazione del Testo unico della finanza a opera della Commissione Draghi, così come quando Rossi fu per poco presidente di Telecom o quando contrastò l’Opa sulla stessa lanciata dai famosi capitani coraggiosi. Celebri le sue sfuriate sui conflitti di interesse epidemici, le scatole cinesi, gli assetti piramidali e i patti di sindacato. Qui si apriva però un solco tra ciò che sosteneva in dottrina e nella riflessione politica e la professione di alto consulente e celebre avvocato in questioni economiche, societarie, finanziarie e bancarie. Cesare Romiti evidenziò un contrasto, che poteva essere ritenuto un conflitto di interesse a tutto tondo senza, stranamente, ricevere repliche da parte del professore. Non sono mancati certo i riconoscimenti di errori, come quello, che ricordo personalmente, di aver prospettato l’intento dell’opa di Abn Amro su Antonveneta senza indicare l’importo inferiore al 50% che la banca si impegnava a ritenere valido per il successo dell’offerta: errore che Rossi ammise e corresse. Difficile comunque comporre simili contraddizioni, tanto più se si è considerati un principe che percepisce laute parcelle. Ma sarebbe sbagliato ritenere Rossi un esempio di video meliora proboque, deteriora sequor. Del resto, Leonardo Sciascia affermava il diritto di contraddire e di contraddirsi. Una vita così intensamente vissuta stimola chi l’abbia seguita a far bene e trarre frutto dalle innovazioni, soprattutto di pensiero, dovute al professore. L’opera consegnata agli scritti andrà approfondita e il solco di cui si è detto darà comunque impulso a chi potrebbe trovarsi in analoghe condizioni. Fondamentale resta il fatto che mai le tesi del professore sviluppate in sede teorica e accademica sono state volte a legittimare vicende da lui seguite come legale: il contrasto tra le due missioni rivela, invece, la separazione tra i due ambiti.
MF – Angelo De Mattia – 23/08/2017 pg. 12 ed. Nazionale