UCRAINA. Salvini da Draghi: un errore ulteriori invii. Nel terzo decreto anche obici e blindati lince
Andrea Carugati
Alla fine di una giornata che ha visto il ministro della Difesa Guerini riferire al Copasir sul terzo decreto che prevede l’invio di armi all’Ucraina, il dato che emerge è che due partiti che rappresentano circa metà del Parlamento dicono stop.
Lo sta dicendo da giorni Giuseppe Conte e ieri anche Matteo Salvini, dopo una visita da Draghi a palazzo Chigi, ha chiarito che «mandare aiuti economici e militari all’Ucraina» inizialmente era «giusto e lo abbiamo votato con convinzione». Ora «ulteriori invii di armi non penso siano la soluzione giusta. Il dialogo non si prepara con l’invio di altre armi».
Come questo no (cui si uniscono anche i parlamentarti di sinistra, da Fassina a Fratoianni, il gruppo Manifesta e gli ex grillini) si possa tradurre in un atto parlamentare è ancora un mistero. Giovedì Draghi riferirà alle Camere sulla guerra ma non è previsto un voto su una risoluzione. A fine mese il premier dovrebbe tornare alle Camere in vista del consiglio europeo straordinario, ma anche qui non è scontato che deputati e senatori possano votare per provare a fermare l’invio di armi.
Il primo decreto Ucraina, votato a marzo dal Parlamento, consente al governo l’invio di armamenti fino a fine anno. Ed è assai difficile che questa corsa si possa fermare.
Ma il dato politico, che dovrebbe emergere con chiarezza giovedì dopo l’intervento di Draghi, è che almeno la metà del Parlamento, dopo tre mesi dall’inizio della guerra, non considera più opportuna la partecipazione italiana con strumenti militari.
Il terzo decreto interministeriale (Difesa-Esteri-Economia), è stato illustrato ieri da Guerini al comitato per i servizi. La lista delle armi è ancora una volta secretata, ma secondo indiscrezioni contiene materiali già spediti a Kiev con i primi due invii (missili controcarro, sistemi di difesa aerea Stinger, mortai, mitragliatrici pesanti e leggere), con l’aggiunta di obici tipo gli FH 70, cingolati M130 per trasporto truppe, veicoli Lince con blindatura anti-mine.
Niente droni e niente carri armati. Guerini ha sottolineato l’aspetto «difensivo» degli equipaggiamenti forniti, spalleggiato dal presidente del Copasir Adolfo Urso (Fdi) che ha riscontrato «l’aderenza del decreto alle indicazioni e agli indirizzi dettati dal Parlamento».
Assenti i due componenti leghisti (Volpi e Arrigoni), la vicepresidente Federica Dieni del M5S (a nome degli altri due grillini) ha sottolineato la necessità di insistere sulla via diplomatica. I tre del Movimento hanno smentito distanze di vedute da Conte: «Il Parlamento deve esprimere un chiaro indirizzo politico nei confronti del governo sul tema delle armi: no all’escalation militare», mettono a verbale.
Nelle stesse ore il blog di Grillo ospita un commento dell’ex ambasciatore Torquato Cardilli (dal titolo «Due pesi e due misure»), in cui ricorda le ripetute violazioni delle risoluzioni Onu tollerate dagli Usa, a partire da quelle sulla Palestina, e accusa la «coscienza sporca dell’occidente».
Il post scuote la truppa grillina, e spinge l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo a prendere le distanze: «Quella non è la posizione del M5S, gli Usa sono un alleato centrale». Anche in Parlamento non mancano i dubbi: «Gli diamo 300mila euro per sostenere posizioni diverse da quelle del Movimento?».
«Con il premier Draghi si è parlato finalmente di pace, di cessate il fuoco, di salvare vite e anche posti di lavoro», dice Salvini, soddisfatto che dopo la visita del premier negli Usa si siano abbassati i «toni bellicisti». «L’Italia è da sempre potenza di equilibrio, ovviamente alleata delle democrazie occidentali con prudenza, buonsenso e misura, questo dai tempi di Prodi, Berlusconi, Craxi, Aldo Moro».
Salvini ha ribadito il suo scetticismo verso i nuovi ingressi nella Nato e verso l’embargo di gas e petrolio russi. Da palazzo Chigi una nota specifica che il premier si è limitato a illustrare al leghista quando già detto nella visita americana, e che dunque il sostegno armato a Kiev prosegue.
Ieri alla Camera è mancato per tre volte il numero legale durante la discussione sul decreto Ucraina bis. E il governo non è riuscito a porre la questione di fiducia. La Lega il gruppo con il numero maggiore di assenti (68%). «Non è colpa mia», si giustifica Salvini. «Alla faccia della maggioranza bulgara», ironizza Di Battista. «Qualcuno sta dando dei segnali», nota Giorgia Meloni.