di Massimo Franco
L’aggressione russa contro l’Ucraina sta facendo risorgere l’asse populista del 2018: Movimento Cinque Stelle e Lega alleati contro il governo di Mario Draghi in nome del «no» all’invio di nuovi aiuti militari. A colpire è che l’intimazione al premier di andare in Parlamento non sembra nascere da una strategia concordata. Il grillino Giuseppe Conte e il capo leghista Matteo Salvini si muovono autonomamente l’uno dall’altro, arrivando però alle stesse conclusioni: una sorta di «né con la Nato né con Putin» che riecheggia vecchi slogan ideologici. La novità è che il fronte appare più composito rispetto all’estremismo del secolo scorso. E non è chiaro se rifletta solo un pregiudizio antiamericano, antieuropeo e filo-Putin, o invece l’ostilità nei confronti di Palazzo Chigi. Certo è singolare che, dopo le accuse del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, all’Italia «Paese più ostile» alla guerra, siano spuntate riserve esplicite sulle scelte del governo Draghi. Di colpo, Salvini fa sapere di «avere dei dubbi» sull’invio di aiuti militari a Kiev. «All’inizio ho detto subito sì, senza se e senza ma». Ora non più. Per legittimare le sue parole, il capo del Carroccio usa di nuovo le parole di pace di Papa Francesco. Tranne poi inneggiare all’ex presidente Usa Donald Trump, avversario dichiarato del pontefice, sostenendo che «con lui abbiamo vissuto anni di pace». Quanto a Conte, chiede a Draghi di spiegare le sue prossime mosse alle Camere, perché «nelle democrazie parlamentari bisogna venire costantemente ad aggiornare i parlamentari e il popolo». «Ci dica se siamo falchi o colombe», aggiunge in tv. In questa gara a smarcarsi si dimentica la risoluzione approvata dalle Camere a marzo, che autorizza l’esecutivo a garantire fino a dicembre aiuti anche militari all’Ucraina. E si ignora il fatto che il premier ieri a Strasburgo ha confermato come obiettivi principali un «cessate il fuoco» e una tregua; sempre però che Mosca si mostri disponibile. Il sospetto crescente è che la guerra voluta da Putin sia solo uno dei fronti sui quali pezzi della maggioranza puntano per logorare Draghi. Il «no» del M5S agli inceneritori, con un Beppe Grillo che attacca «i competenti del vecchio» da capo degli «incompetenti del nuovo», conferma la regressione grillina. L’ex premier Conte lo asseconda nello scontro quotidiano con l’atlantismo del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e col Pd di Enrico Letta. Tatticismi miopi: un’escalation di provocazioni contro Draghi a cominciare dalla politica estera, nella speranza di recuperare voti in fuga. Il rischio è di riproporre all’Ue l’inaffidabilità di alcune forze della coalizione; e di sfidare il pericolo di una crisi di governo che finora solo la guerra, probabilmente, ha scongiurato.