L’Italia uscirà più marginale quindi meno sicura dalla guerra in Ucraina. Indipendentemente dall’esito sul campo – che immaginiamo al meglio lunga tregua, certo non vera pace – l’Alleanza Atlantica si concentrerà sui quadranti Est e Nord, con il Mediterraneo sempre più scoperto. Si concretizza sotto i nostri occhi la “Nato baltica” di cui profetava Gianni De Michelis negli anni Novanta. Il nostro fronte marittimo necessiterà perciò di maggiore attenzione nazionale, poiché quella alleata tenderà a orientarsi altrove. Gli Stati Uniti resteranno i grandi registi della Nato, ma con la testa concentrata sulla sfida cinese. La difesa dell’Europa sarà affare anzitutto degli europei. I quali dietro la facciata unitaria procedono in ordine rigorosamente sparso. A guerra in corso. Figuriamoci dopo.
Il profilo dello schieramento occidentale post-invasione dell’Ucraina è in via di ridefinizione. Polonia e Romania si profilano da tempo perni avanzati sul fronte orientale. Svezia e Finlandia (neutri pro forma, atlantici di fatto, presto forse di diritto) accompagneranno i baltici ex sovietici nel primo controllo della frontiera settentrionale della Russia. E la Germania riarmata in grande si affermerà potenza centrale nel contenimento di Mosca.
Lo schieramento americano in Europa potrebbe superare i 100 mila uomini. Avanzati di centinaia di chilometri verso est rispetto alle basi attuali. Con forse un Joint Force Command atlantico in Polonia, oltre ai tre attuali in Olanda (Brunssum), Italia (Napoli) e Stati Uniti (Norfolk). Fors’anche uno scudo missilistico in grado di abbattere gli ipersonici russi, al quale stanno lavorando i tedeschi. Il cancelliere Scholz ha inviato una missione in Israele per valutare l’applicabilità del sistema Iron Dome alla Germania. Non risulta abbia consultato i partner Nato per un progetto che, se realistico, dovrebbe coinvolgere l’Alleanza intera.
Di sicuro, e di assai rilevante, c’è per ora il colossale riarmo tedesco. I 102 miliardi assegnati da Scholz alle Forze armate, con la promessa di spendere almeno il 2% del pil per la difesa negli anni a venire, fanno della Bundesrepublik la terza nazione al mondo per spese militari. Si è scatenata la competizione fra le industrie nazionali del settore – quarto conglomerato su scala planetaria. Alcune delle quali stanno rifornendo direttamente gli ucraini visto che Berlino non si affretta a inviare armamenti a Kiev, anche perché ha i magazzini semivuoti. Il capo della Bundeswehr, generale Zorn, si agita per impedire che il super-fondo finisca in spese per il personale o in attività collaterali (cooperazione compresa). I carri armati, dichiarati più volte obsoleti nel loro primo secolo di servizio, tornano di moda. Rinforzi materiali a parte, la Germania ha avviato per la prima volta dalla seconda guerra mondiale un disinibito dibattito strategico, che investe una delle società più paciose dell’Occidente. Reduce fra l’altro dalla narcosi merkeliana, il cui effetto pare scaduto.
Impressionante il quasi totale silenzio italiano sulla svolta di Scholz. Neanche cotanto riarmo tedesco, che fa della Germania finalmente una potenza a tutto tondo, fosse episodio minore. Dopo le chiacchiere sulla difesa europea, quando si passa ai fatti noi guardiamo altrove. A meno di non considerare seria la discussione nostrana sul futuro aumento delle spese per la difesa, un misto di aspirazioni e promesse senza alcuna sostanza strategica alle spalle, più tocco moralistico.
Notevole eccezione, Romano Prodi. L’ex premier promuove l’idea di una “cooperazione rafforzata” per la difesa fra Italia, Germania, Francia e Spagna, cui potrebbero aderire un’altra decina di paesi. Il che, conti e carte geografiche alla mano, significa dividere la Ue fra centro-occidentali, con i quattro capofila, e centro-orientali, con i polacchi a tirare un plotone per ora inferiore ma sul quale gli americani puntano molto.
Domanda chiave: agli Stati Uniti andrebbe bene tale bipartizione? Se sì, come pare, vuol dire che da Mamma America non possiamo attenderci molto. Non proprio la prospettiva ideale per chi era abituato a sonnecchiare sotto l’ombrello americano. Per noi, un sombrero. Quando si tratta di vita o di morte chi si addormenta è perduto.