Quegli alunni da difendere

Già a luglio nove reti di associazioni che comprendono nel loro insieme oltre duecento gruppi che lavorano sul territorio con le bambine/i e adolescenti avevano presentato al presidente Conte e alla ministra Azzolina un documento in 5 punti (EducAzioni) per una scuola e per servizi per la prima infanzia più inclusivi, in cui nessuno venga lasciato indietro e a tutti sia data la possibilità di sviluppare le proprie capacità. Sono tornati a sollecitare tutti gli attori interessati ieri, a fronte di una riapertura delle scuole che sembra far prevalere il discorso della sicurezza su quello educativo, dove la questione dell’enorme debito che è stato contratto in questi mesi nei confronti dei più piccoli e più giovani, in modo più accentuato nel caso dei più fragili, non sembra messo a fuoco nella progettualità didattica.

E’ chiaro che le scuole vanno riaperte nelle condizioni di sicurezza migliori – un principio ovvio, anche se è stato sistematicamente disatteso negli anni, quando si è continuato ad accettare che si potessero tenere gli studenti in scuole non a norma dal punto di vista della sicurezza edilizia e in classi sovraffollate. Ma la sicurezza è solo una, importantissima, pre-condizione della attività educativa che nella scuola va svolta. Non può entrare in totale contraddizione con questa. Perciò si spera che insegnanti, presidi, oltre ad affannarsi con metri e scotch per misurare le distanze, abbiano trovato il tempo per riflettere su quali modalità didattiche siano più adatte in questo contesto, per accogliere paure, dubbi, domande, ma anche facilitare la comprensione delle norme indispensabili, facendone strumento di una educazione civica allargata, alleandosi anche con i genitori. Così come si spera che, in nome di una riduzione dei rischi, non riducano il tempo scuola e più in generale il tempo educativo, dentro, ma anche fuori dalle classi. A questo va utilizzato e valorizzato lo strumento dei patti educativi territoriali, coinvolgendo in un progetto educativo allargato associazioni, imprese, istituzioni culturali, non solo perché cedano spazi, ma perché tutte le risorse educative disponibili a livello locale siano messe al servizio delle bambine/i e adolescenti, per la loro formazione. Con una particolare attenzione per chi è più fragile, ha più difficoltà, o dispone di meno risorse. E’ il minimo che dobbiamo ai più giovani.

www.lastampa.it