Niva Lorenzini
Ci sono autori del Novecento su cui molto si è scritto, e per decenni, al punto che la loro fisionomia pare da tempo compiutamente tracciata e definita. Edoardo Sanguineti è sicuramente tra questi. Tanto più si rivelano opportune analisi che ne esplorano ora, attraverso documenti d’archivio, aspetti inediti e inattesi. Piena di sorprese e ricca di rivelazioni giunge fra tutte la perlustrazione, compiuta da Marino Fuchs e pubblicata da Mimesis, sulle carte conservate presso la Biblioteca Cantonale di Locarno nell’Archivio Enrico Filippini, relative al carteggio che l’intellettuale svizzero intrattenne con il poeta tra il ’63 e il ’77. Si tratta di 64 missive di Sanguineti a Filippini e di una ventina di Filippini a Sanguineti: conservate, queste ultime, in parte a Locarno (2 lettere) e in parte (21) ritrovate dalla vedova Luciana nella casa genovese del poeta.
Se è normale attendersi dal carteggio informazioni circa l’importante mediazione culturale operata da Filippini, responsabile in quegli anni presso l’editore Feltrinelli della divulgazione e traduzione della letteratura tedesca in Italia, in particolare di quella delle avanguardie del Gruppo 47 ma non solo, e in parallelo della diffusione della cultura italiana all’estero (ne tratta lo stesso Fuchs nel volume Enrico Filippini editore e scrittore, appena edito da Carocci), sorprende, sino dalla lucida introduzione, l’ampiezza e il rigore dei riscontri forniti dal curatore. Essi riguardano l’orizzonte storico-letterario-filosofico comune ai due intellettuali, dal Barthes di Mythologies ai testi di psicoanalisi e fenomenologia, con particolare approfondimento sulle opere di Marx di cui all’occorrenza, per qualche citazione, Fuchs fornisce una traduzione di prima mano. Ma soprattutto sorprende, nel carteggio, la presenza di sette lettere straordinarie, numerate da 13 a 19 e datate ottobre ’64, in cui Sanguineti, sollecitato da Filippini intento a preparare un commento per la traduzione tedesca di Purgatorio de l’Inferno approntata da Hans Magnus Enzensberger, illustra capillarmente, verso per verso, alcune sezioni del poemetto pubblicato da Feltrinelli, quello stesso anno, nel volume Triperuno.
È un commento imprescindibile per comprendere spunti e accenni fino ad oggi solo in parte decriptati dalle note con cui Alfredo Giuliani – suggeritore lo stesso Sanguineti – accompagnava nel ’61 l’antologia dei Novissimi. Ed è un commento sorprendente. Non aveva mai fatto, Sanguineti, una illustrazione così puntuale di suoi testi poetici e non ne farà in seguito, propenso com’era, semmai, a sfidare il lettore sulle possibilità aperte della ricezione della sua poesia. Qui però gli interessa mettere a fuoco, con l’interlocutore amico, un momento di trapasso che giudica fondamentale per la sua scrittura, fortemente segnata, in quel preciso contesto, dalle letture di Marx e Kafka su tutti. In quelle sette lettere, in dialogo con Filippini e con riscontri serrati, Sanguineti affronta la dicotomia preistoria/storia, il superamento dell’amore-passione borghese e soprattutto lo snodo della giustificazione etico-politica (mai individuale, ma sociale), finalizzata a realizzarsi in una società senza classi. Sono temi che resteranno fondamentali nel pensiero e nell’opera di Sanguineti, e che qui puntano a illustrare il passaggio dalla posizione anarchica di Laborintus al materialismo storico di Purgatorio de l’Inferno, che accoglie non a caso la poetica del «piccolo fatto vero» insieme alla tecnica dell’enumerazione caotica. Ad essa Fuchs dedica approfondimenti di tutto rilievo, tra Spitzer e Marx, arrivando a chiamare in causa, a proposito del cut-up di «materiali già usati dalla vita», il parallelo percorso di ricerca degli artisti informali e di Enrico Baj soprattutto, in vista della nascita di una «nuova figurazione».
Si esce frastornati dalla lettura di queste lettere che rivelano, in Sanguineti e Filippini, una comunanza di intenti coerente, finalizzata a un’idea di cultura non demolitrice e distruttiva, ma che punta a modificare la realtà nell’epoca – l’avvio degli anni Sessanta – in cui sta affermandosi anche sulla scena letteraria una cultura massificata e mercificata. E altrettanto frastornati si esce dalle pagine che riportano, in Appendice, una lunga intervista all’autore di Capriccio italiano, trascritta da Valerio Riva e Nanni Balestrini tra il ’62 e il ’63. È questa la seconda sorpresa che riserva il volume: sono pagine decisive per l’illustrazione del rapporto tra il romanzo e la tecnica narrativa messa in atto da Sanguineti, ispirata in primo luogo, spiega l’autore, dalla Commedia dantesca oltre che dal Satyricon di Petronio, per la frammentarietà che diviene – parola di Sanguineti – vera «etimologia culturale di Capriccio italiano», insieme alla suggestione di un Kafka riletto in ottica petroniana. Da qui il dialogo tra intervistato e intervistatori si sposta verso corollari del tutto inattesi, toccando in primo luogo la struttura del sogno e sviluppandosi verso argomenti cari soprattutto a Filippini, quali l’inintenzionalità di una scrittura narrativa sottratta a qualsiasi gerarchizzazione di carattere spazio-temporale e aperta a un grado zero dell’espressione, estranea a ogni forma di realismo canonicamente codificato. Per Filippini consisteva in questo la «funzione di verità» che il romanzo di Sanguineti riusciva a promuovere, con una elaborazione ideologico-linguistica in grado di smascherare le coercizioni e di promuovere una rinnovata coscienza storica.
Dal carteggio emerge un Sanguineti scatenato e giocoso, che lascia trapelare, tra lo spessore di un’amicizia profonda, il proprio privato, in genere gelosamente da lui mascherato nei travestimenti che i tanti «ii» mettono in campo nei suoi versi. Ed emerge insieme – ed è importante – uno scrittore attirato proprio verso la pratica dell’inintenzionalità: un aspetto indagato, in piena sintonia con Fuchs, anche nello studio di Clara Allasia, «La testa in tempesta». Edoardo Sanguineti e le distrazioni di un chierico, pubblicato da Interlinea. A dare il la al volume la studiosa pone, in esergo, una scelta mirata di prelievi sanguinetiani: dall’Orologio astronomico («Ci sono pezzi di antiche storie, che si mettono, di colpo, a galleggiarti lì in testa, allo sbando. Si ha la testa in tempesta, ecco […]. È come un sogno», e da Postkarten, 60: «Perché fu il tempo, dicono, della distratta percezione». Anche Allasia preme il tasto dell’inintenzionalità, del sogno e della distrazione, per indagare un Sanguineti difficile da decifrare, nella complessità che caratterizza, scrive la studiosa, il suo collocarsi sempre ad un tempo qui e altrove, nella «molteplicità di ruoli che avvolgono e sommergono» il suo essere uno e trino, chioserebbe Antonio Pietropaoli, dramaturg e lessicografo, romanziere e cinefilo. E non è certo per caso che l’analisi documentatissima di Allasia, che spazia tra cinema e competenze lessicografiche, si apra sul Sanguineti recensore sul «Verri», nel ’59, della Modification di Butor, che consente al giovanissimo interprete di discutere proprio di «distrazione». È questa una parola cardine, per la studiosa, nel «mondo mentale» sanguinetiano, un universo «perfettamente compiuto» la cui coerenza, scrive ponendosi in sintonia col Filippini del Carteggio, «nasce dal concorrere di molteplici punti di vista, dal continuo sovrapporsi di sguardi che colgono, ognuno, elementi secondari, particolari apparentemente insignificanti».
Emerge così di nuovo, nella permeabilità tra generi (accanto al lessicografo spicca soprattutto il cinefilo, l’esperto di montaggio, al centro anche degli scritti di Sanguineti raccolti dalla stessa Allasia e da Franco Prono nel volume Un poeta al cinema, pubblicato nel 2017 dall’editore Bonanno), il Sanguineti del grado zero dell’espressione, poeta e narratore della «distrazione» intesa come «diversione», come ciò che «porta in un altro luogo» e innanzitutto nel territorio del sogno, un sogno mimato dall’inconscio, su cui si era soffermato anche Fausto Curi nel saggio La messa in scena dei sogni (compreso nel volume Edoardo Sanguineti. Ritratto in pubblico, a cura di Luigi Weber, Mimesis 2016).
Come si concili quel Sanguineti «distratto», in buona parte da riscoprire, con l’autore di Ideologia e linguaggio, da lui considerato libro cardine del proprio lavoro, e con il materialista storico, o a fianco del rigorosissimo estensore delle 70000 schede destinate al Grande Dizionario della Lingua Italiana cui Allasia dedica analisi informartissime, è scommessa che lascia – concordo di nuovo con la studiosa – ammirati e sopraffatti.
Per chiudere. Pare giunta, per Sanguineti, la stagione non tanto di celebrarlo o di concludere bilanci su di lui, ma di conoscerlo meglio, capirlo meglio, al di là delle certezze acquisite. Sto parafrasando parole con cui Franco Vazzoler sigla la Premessa al prezioso volume che con il titolo Edoardo Sanguineti e il gioco paziente della critica raccoglie per le Edizioni del verri i suoi Scritti dispersi 1948-1965 per le cure di Gian Luca Picconi e Erminio Risso, responsabili di un progetto corposo promosso dall’Università di Genova per ricostruire l’intera bibliografia di Sanguineti. Praticando, secondo l’invito di Vazzoler, il tempo «della ricerca e della sistemazione dei materiali», i curatori ricostruiscono l’apprendistato critico del giovanissimo Sanguineti già intento, nei primi anni Cinquanta, a discutere, su riviste e fogli dell’epoca, di espressionismo e neorealismo, e a recensire film, a trattare di Kafka, Ungaretti o del Dante di Auerbach. Viene così a tratteggiarsi anche qui una fisionomia plurima e polifonica, articolata e complessa: quella che il gioco paziente della critica sta ora attivandosi a riscoprire attraverso nuove letture e nuovi itinerari di ricerca.
Edoardo Sanguineti-Enrico Filippini
«Cosa capita nel mondo». Carteggio (1963-1977)
a cura di Marino Fuchs
Mimesis, 2018, 244 pp., € 22
Clara Allasia
«La testa in tempesta». Edoardo Sanguineti e le distrazioni di un chierico
Interlinea, 2017, 137 pp., € 15
Edoardo Sanguineti
Edoardo Sanguineti e il gioco paziente della critica
Edizioni del verri, 2017, 328 pp., € 23