Quarant’anni di danza, di balletti, di interpretazioni, di figure femminili sfaccettate, riflesse nelle sfumature del linguaggio del corpo. Un gioco di specchi rivelatore anche di se stessi. «Non mi piace la parola carriera, troppo legata a una visione lavorativa, sono quarant’anni di passione, è la mia vita». Incontrare Alessandra Ferri, osservarla nella costruzione di un ruolo, è riflettere sulla forza vitale che la danza può dare a chi ne ha fatto la sua ragion d’essere. Una compagna di strada, presente ogni giorno con i suoi rituali, le sue abitudini, le sue ripetizioni, la sua sorprendente bellezza.
Ferri, oggi, è Winnie, da Beckett, in L’Heure Exquise, rilettura geniale di Giorni felici firmata 23 anni fa da Maurice Béjart per Carla Fracci e Micha van Hoecke. Ferri lo ha riscoperto per caso, scartabellando nei suoi archivi: «un ruolo fantastico per la ballerina e la donna che sono oggi, ho sentito il desiderio di riportarlo in vita». A rimontarlo per Ferri e Carsten Jung, magnetico artista cresciuto all’Hamburg Ballett di John Neumeier, Maina Gielgud, unica altra interprete del balletto dopo Fracci. Debutto l’altro ieri al Ravenna Festival, in scena ancora stasera al teatro Alighieri (streaming su ravennafestival.live alle 21.30), e già in programma il 13 e 14 settembre al Torinodanza Festival, in quello stesso teatro Carignano dove andò in scena nel 1998.
WINNIE non è sepolta nella sabbia come in Beckett, ma è ugualmente intrappolata nell’immobilità di un tempo che nel passato e nella routine del presente cerca ostinatamente, giorno dopo giorno, la felicità. Ferri/Winnie emerge al centro di una montagna circolare fatta di scarpette da punta, sono migliaia, sono scarpette usate, con i loro lacci, le sfumature diverse di rosa, vengono da ballerine del Royal Ballet di Londra, dell’English National Ballet, della Scala, dell’Hamburg Ballett che le hanno date per ricostruire la scena. «In questa montagna c’è la storia di ognuna di loro, la speranza, i giorni belli, i giorni brutti, i sogni. Non mi sento mai sola».
Lo spettacolo comincia. Winnie/Ferri si sveglia: «Buongiorno, sole, saluto te… che bella luce, infrange le tenebre… chassé, pas de bourrée, échappé, échappé, relevé, relevé e dopo?… Come avrei voluto essere un’attrice per vivere interamente quest’opera di Samuel Beckett, ma sono una ballerina!». Fu il colpo d’ala di Maurice Béjart: scrivere in danza variazioni sul tema beckettiano Oh, les beaux jours «un lavoro» spiegò ai tempi il coreografo scomparso nel 2007 «di composizione fedele allo spirito dell’autore e tuttavia nel contesto di una creatività puramente astratta e coreografica».
LE SCARPE da punta, la gioia del ricordo della ribalta, il primo balletto, il secondo, il primo bacio: la montagna rosata si apre frontalmente accompagnata dal terzo movimento della Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler che è tutt’uno con il fremito commosso di Ferri/Winnie. Si può uscire finalmente dal tempo immoto, danzare nel sogno del passato, togliersi sciarpa, giacca rosa, le morbide scarpe imbottite da riposo dei ballerini, rincontrare Willie. Le punte delineano il bordo della struttura aperta, Ferri danza «lo stile antico», intreccia citazioni da balletti romantici con accenni a passi da Carmen, uno dei ruoli amati. Ora è una bambina che salta alla corda, ora una giovane ragazza innamorata, ora una donna matura che sorride al proprio passato. Carsten Jung, con cui Ferri ha danzato più volte per Neumeier, nel ruolo del marito di Winnie, Willie, è il partner ideale. Spessore, sintonia, cura, ironia, forza, tenerezza.
È lui che appoggiando le scarpe da punta sulle gambe di Winnie la sospinge a rivivere la ribalta, è lui che le toglie la pistola, tirata fuori dalla grossa sporta di oggetti, è lui che riporta Winnie alla danza nel secondo atto, aperto con Ferri in bianco, di nuovo intrappolata nella struttura di punte.
EPPURE, eppure, nonostante tutto, sono la sbarra, la lezione, le prove, il lavoro, il rifare le stesse cose ogni giorno che salvano la Winnie béjartiana. Ferri chiude canticchiando il motivo di Lehár da La vedova allegra che dà il titolo allo spettacolo: «L’heure exquise qui nous grise lentement, la caresse, la promesse du moment», «quell’ora squisita che ci inebria lentamente, la carezza, la promessa del momento». E nel tempo che sfuma trova la propria gioia.