di Nicola Saldutti
Il presidente della Banca centrale europea ha sempre tenuto a rispettare la divisione dei poteri, a evitare le invasioni di campo. E ieri non ha cambiato linea, Mario Draghi. Il ruolo di Francoforte non è suggerire ai governi cosa fare. Nei giorni difficili di un accordo sul debito greco il richiamo però è molto forte: la preoccupazione riguarda le divergenze profonde e crescenti tra i Paesi. Perché le distanze in termini di crescita, di debito pubblico, di produttività, di disoccupazione, alla fine nascondono rischi troppo alti per l’euro. Al punto di minacciare l’esistenza stessa dell’Unione monetaria. Della quale Francoforte è il custode e il garante principale non solo verso i mercati, ma soprattutto nelle fasi incerte della politica e degli equilibrismi nazionali.
Un segnale forte su due fronti: la spinta ad avere più coraggio verso una governance europea, mentre l’Europa svela tutta la sua fragilità nel percorso di soluzione della crisi di Atene. E il vincolo per gli Stati membri di non allentare il percorso delle riforme. Parole che arrivano proprio mentre le scelte di politica economica, che hanno reso possibile, nonostante la recessione, di tenere i conti italiani nel recinto dei parametri europei stanno diventando una specie di cantiere aperto. Decisioni che apparivano definite, assodate, si sono riproposte come tutt’altro che certe. Prima la sentenza della Corte costituzionale sul blocco dell’adeguamento delle pensioni, ora il no dell’Europa al nuovo regime dell’Iva che prevedeva lo spostamento dell’onere del versamento dell’imposta ai supermercati e non più ai fornitori. Misura che, nelle intenzioni del governo, era mirata a costruire un baluardo nei confronti dell’evasione fiscale. Conto provvisorio totale: tre miliardi che il Tesoro, dopo aver già cancellato il cosiddetto «tesoretto», dovrà trovare da qualche altra parte.
Sarebbe però un errore valutare quello che sta accadendo soltanto sotto il profilo contabile. Scelte tampone che dovranno ottenere risultati immediati, a sentire le parole di Draghi, non dovrebbero distogliere l’attenzione dal percorso più ampio delle riforme. Il punto è che l’attività di governo, soprattutto in materia economica, si sta rivelando sempre più esposta ai colpi di maestrale che arrivano dai ricorsi. Decisioni che risalgono al 2011 (il blocco delle pensioni) producono i loro effetti (dopo la sentenza della Corte) con cinque anni di ritardo. In questo modo svaniscono in un colpo miliardi di risparmi che si ritenevano consolidati. Costringendo il governo in carica a correre ai ripari. Nel caso dell’Iva la questione era così incerta da far immaginare già possibili entrate alternative: se questa imposta non va, allora ne scatterà un’altra. Una specie di Fisco a orologeria. Ed è quello che potrebbe accadere: la cosiddetta clausola di salvaguardia (viene da chiedersi di salvaguardia per chi) potrebbe far scattare l’aumento della (solita) benzina. Anche se il Tesoro ha fatto sapere che cercherà altre strade. E bisognerà poi vedere che cosa diranno i giudici della Consulta sul blocco dei contratti del pubblico impiego, fermi da 6 anni. In questo caso il conto avrebbe molti più zeri.
Si ha dunque la sensazione che l’esecutivo sia costretto a una specie di corsa a tappare i buchi (non solo finanziari ma anche normativi) che si aprono ogni volta che l’Unione Europea o la Corte, o i Tar, intervengono su materie di finanza pubblica. Un contradditorio previsto dalla legge, naturalmente. Un sistema di garanzie prezioso per i cittadini. Eppure, vista la frequenza degli interventi che hanno rimesso in discussione tutto, in queste ultime settimane, viene da pensare che serva un disegno più organico, un’attività di manutenzione delle scelte. O forse, in vista della prossima legge di Stabilità, una sorta di verifica preventiva sui temi più controversi in grado di mettere in sicurezza le scelte.
Risparmi di bilancio messi in discussione, passaggi di riforme strutturali in grado di assicurare l’equilibrio dei conti, trasformati da solide certezze in territori insidiosi per il deficit. Proprio quando il quadro esterno, a cominciare dalla Grecia, appare più instabile. Diventa a questo punto centrale non smarrire la rotta delle riforme chieste a tutti i Paesi dell’Unione da Draghi. Con un’accortezza: bisogna fare in modo che siano, da un punto di vista normativo e contabile, le più solide possibile. Meno esposte ai venti, implacabili, dei ricorsi.