Via libera alle cinque fiducie nel caos. L’aiuto di Verdini diventa decisivo.

Legge elettorale, oggi il voto finale. M5S contro Grasso, lui replica: a volte più difficile restare che andarsene

Dino Martirano

ROMA La legge elettorale supera ben 5 voti di fiducia, e si avvia al sì definitivo previsto per oggi, ma al Senato scoppia la guerra delle cifre perché, almeno in due scrutini, la squadra di Denis Verdini (Ala) ha avuto un ruolo decisivo per il raggiungimento del numero legale. «Da oggi è nata una nuova maggioranza con Verdini», denuncia la capogruppo di Mdp Cecilia Guerra. Ma nel Pd — nonostante le «riserve» del senatore a vita Giorgio Napolitano, che non ha votato la fiducia pur annunciando il suo sì finale al Rosatellum — si bada al risultato messo in sicurezza prima delle elezioni siciliane: «L’Italia avrà un sistema equilibrato», spiega il renziano Andrea Marcucci e Piero Fassino respinge l’accusa di aver fatto una «legge fascista».

Secondo fonti del Pd, i 12-13 verdiniani presenti in Aula per votare con il governo sarebbero stati determinanti per il numero legale solo alla terza fiducia, e per un solo voto di scarto. Ma alla quinta prova di fiducia — quando Mdp, SI e M5s avevano lasciato l’Aula — per la maggioranza che sostiene Gentiloni è arrivato il soccorso di 8 senatori della Lega e di 6 di FI, fino a quel momento assenti. Calderoli, Scilipoti e compagni hanno votato contro la fiducia ma, allo stesso tempo, hanno «annacquato» il contributo dei verdiniani per il numero legale. Se si sottrae dal totale dei presenti (172) l’aliquota della Lega e di FI giunta in soccorso (14 ), si arriva a 158 senatori in Aula. Ma se poi dai 158 si tolgono i 12 verdiniani, si precipita a quota 146: sotto di un’unità rispetto al numero legale (147). E ora il «puntellamento» dei verdiniani si riproporrà con la legge di Stabilità.

I partiti della fiducia (Pd, Ap, Scelta civica, Ala, Svp) non hanno avuto comunque problemi e oggi allungheranno le distanze allo scrutinio finale sul Rosatellum con i voti di FI e della Lega. Però la forzatura di 8 fiducie (3 alla Camera e 5 al Senato) ha creato un clima caotico in Aula e il presidente Pietro Grasso ha risposto così a Vito Crimi (M5S) che lo invitava a dimettersi: «A volte è più difficile restare che andarsene. Come sapete, non ho accettato di candidarmi in Sicilia per continuare a espletare il mio compito. Quando si difendono le istituzioni non sempre si possono seguire i propri sentimenti…».

Giovedì 26 Ottobre 2017 Corriere della Sera

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