l’allarme dei sindacati: ci opporremo a qualsiasi tentativo di macelleria sociale. l’ipotesi di una proroga per la vendita
gianluca paolucci
Si separano le strade di Mps e Unicredit. Dopo tre mesi di due diligence, approfondimenti e negoziati resta ancora troppa distanza tra le richieste di Andrea Orcel e la volontà del Mef di mantenere gli impegni con l’Ue e chiudere comunque la partita entro la fine dell’anno, le due parti sono a un passo dalla rottura. A ieri sera mancava ancora l’ufficialità, ma nessuna delle due parti, seppur informalmente, era disposta a scommettere un euro su un esito positivo. «Servirebbe un miracolo», dice uno dei consulenti, per riportare in vita un negoziato di fatto morto. Ma il miracolo in questo caso costa sette miliardi ai conti pubblici e nessuno, nel governo, ha intenzione di farsene carico.
I sette miliardi sono quelli che secondo Unicredit servono per rispettare i paletti fissati a luglio, quando venne annunciata la trattativa in esclusiva con l’istituto di piazza Gae Aulenti: neutralità del capitale e accrescimento dell’utile per azione, sterilizzazione dei rischi legali, dei crediti problematici e del personale. Il conto fatto da Unicredit al termine della due diligence non viene però condiviso dal Mef che, partito da una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, era disposto a valutare un’operazione fino a 5 miliardi compresi i benefici fiscali (2,3 miliardi) e la separazione dei rischi legali ma non intende andare oltre.
La «dote» finanziaria richiesta da Unicredit non è il solo ostacolo che si è dimostrato insuperabile: ci sono le direzioni generali di Mps – che a Unicredit non interessano – e le controllate che sarebbero restate comunque fuori dal perimetro dell’operazione. Tradotto: circa otto mila persone tra la sede di Siena, la direzione generale di Mps Capital Services e i circa 2000 dipendenti del consorzio Fruendo. Ottomila dipendenti di troppo su 21 mila, da gestire tra esuberi e ricollocamenti che nei piani del Mef sarebbero stati scaricati su Unicredit ma dei quali Orcel aveva fin da subito chiarito di non voler farsi carico.
Le indiscrezioni circolate ieri hanno non a caso hanno suscitato l’allarme immediato dei sindacati. «Comunque vada a finire, deve essere chiaro sin d’ora che non deve passare per la testa a nessuno neanche l’idea che il cerino possa restare in mano al sindacato. Non accetteremo tagli di personale se non attraverso prepensionamenti su base volontaria e deve essere chiaro che ci opporremo, con tutti i mezzi a nostra disposizione, a qualsiasi tentativo di macelleria sociale», dice il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. «Vedremo se è saltata o meno, così come vedremo se ci saranno sei mesi di proroga, rispetto al 31 dicembre 2021, per l’uscita dello Stato dal capitale di Mps, proroga che qualcuno dovrà ufficialmente chiedere e che l’Unione europea e la Bce dovranno accordare», sottolinea Sileoni. Per il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, «È chiaro che per continuare a operare la banca va ripatrimonializzata e liberata dagli obblighi che in questi anni hanno finito per comprimere i ricavi e innescato un circolo vizioso con i tagli all’occupazione – continua Colombani -. È una logica dalla quale – conclude – bisogna uscire per assicurare un futuro alla banca.