La prima esposizione dedicata alla celebre “architettrice” narrata da Melania Mazzucco: Plautilla Bricci (1616-post 1690).
Il catalogo presenta i risultati delle ricerche di alcuni dei maggiori specialisti dell’artista e del suo contesto culturale: oltre ai saggi di Melania Mazzucco e di Yuri Primarosa – autore di contributi fondamentali sulla produzione pittorica e grafica della Bricci –, gli studi di Aloisio Antinori, Carla Benocci, Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Riccardo Gandolfi, Gianni Papi e Magda Tassinari e il restauro dei progetti di Plautilla conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, la scoperta di documenti inediti sulla sua vita e l’identificazione di nuove opere dell’artista permettono di fare nuova luce sulla sua carriera e sulla sua ampia produzione, pittorica e architettonica, anche dal punto di vista tecnico e stilistico. Come quasi tutte le sue colleghe, anche Plautilla era figlia d’arte, e nella bottega romana del padre Giovanni, attivo nell’entourage del Cavalier d’Arpino, acquisì molto di più che i soli rudimenti nel disegno e nel colorire. Oltre a dipingere insegne di botteghe e a impiastricciare muri e tele, il Briccio era un erudito militante in diverse accademie letterarie romane, musicista e compositore dilettante, poligrafo e poeta, attore e commediante. Il sodalizio con l’abate Elpidio Benedetti fu decisivo per Plautilla, che accanto al ricamo e alla pittura “in piccolo”, poté cimentarsi nell’esecuzione di diverse pale d’altare, nell’ideazione di importanti apparati decorativi e nella progettazione di altre «opere insigni». Servitore romano del cardinale Mazzarino e poi di Colbert nelle funzioni di «agente del Re Christianissimo», Benedetti fu per oltre un cinquantennio una figura chiave nel fervido dialogo politico e artistico tra Roma e Parigi. L’abate, inoltre, era uno scaltro marchand-amateur e artista dilettante egli stesso, in rapporti di familiarità con alcuni dei più famosi maestri dell’epoca (Bernini e la sua bottega, Pietro da Cortona, Sacchi, Grimaldi, Romanelli). Grazie a Elpidio, la Bricci poté concretizzare le sue ambizioni universali, affermandosi anche come architetto: un evento talmente eccezionale da richiedere l’invenzione di un nuovo termine appropriato, quello di “architettrice”. Nel 1662-1663 ebbero inizio i lavori della sua opera più famosa, barbaramente distrutta nel 1849 durante l’assedio francese di Roma: la Villa Benedetti fuori Porta San Pancrazio, «edificata a similitudine di un Vascello sopra uno scoglio». A quel cantiere memorabile presero parte artisti di grido del calibro di Cortona e Grimaldi, che ne impreziosirono le forme esuberanti e vagamente oniriche, simili a quelle di un castello di Walt Disney. Ma non tutte le cose della Bricci sono andate perdute. Possiamo ancora ammirare la sua icona di Santa Maria in Montesanto (1635- 1640), il lunettone dei canonici lateranensi e altre due vaste tele a Poggio Mirteto, pulite per l’occasione: lo splendido stendardo destinato alla chiesa di San Giovanni Battista (1675) e la Madonna del Rosario (1683-1687) del duomo dello stesso borgo sabino che aveva dato i natali al padre di Elpidio: Andrea Benedetti, ricamatore papale, del quale si presentano in mostra le prime opere certe. Infine, abbiamo la cappella Benedetti di San Luigi dei Francesi (1673-1680), accanto ai Caravaggio della cappella Contarelli, che riscosse l’ammirazione dei più intendenti.