di Antonio Polito
Una provincia, tre mafie, ventisei clan e novecento affiliati. In due anni 29 omicidi e 12 agguati falliti. Dodici morti solo negli ultimi quattro mesi. Mentre lo Stato fa la faccia feroce sul mare, nella terra fertile del Tavoliere delle Puglie prende schiaffi al ritmo di un delitto ogni dieci giorni. La guerra di mafia di Foggia, di San Severo, del Gargano, non ha avuto la fortuna di essere celebrata da una serie tv come Gomorra.
L a Stazione davanti alla quale ieri si è consumata l’ennesima strage fu solo il set di un film-commedia di Sergio Rubini. L’omertà nazionale sullo scivolamento di pezzi interi del Mezzogiorno, l’indifferenza e la noia per una «questione meridionale» che abbiamo preso a considerare un destino invece che un problema, hanno garantito in questi anni impunità e strapotere a famiglie mafiose che uno Stato forte e agguerrito dovrebbe saper schiacciare in pochi mesi.
Spezzando questa omertà, l’ultimo numero della Lettura del Corriere, proprio domenica scorsa, si apriva con un lungo reportage dal campo sulla «guerra di Foggia», prendendo spunto da un libro dell’ex questore Piernicola Silvis. Un pugno nello stomaco del lettore, del genere che i media hanno forse colpevolmente smesso di assestare. Mi ha chiamato un amico di Foggia. «Ma perché tutto questo clamore negativo? Ci fa solo male». Al contrario. Ci fa male il silenzio: già ne abbiamo avuto troppo.
La Capitanata è una terra di grande e antica civiltà. Amata da Federico II di Svevia, il precursore dello Stato moderno, qui venivano a pascolare le greggi della famiglia Croce prima che l’Unità d’Italia trasformasse i pascoli in latifondo, prima delle lotte bracciantili e dell’epopea di Di Vittorio, nato proprio da queste parti. Una terra oggi taglieggiata dai parassiti del racket delle estorsioni, da commando di rapinatori tra i più agguerriti d’Italia, da una malavita dotata di arsenali micidiali: a Foggia nel 2014 è esplosa perfino un’autobomba, a trecento metri dalla Questura.
Una mala capace di inaudita violenza e ferocia, ma non fatta di «menti sofisticatissime», da fronteggiare più sul piano militare e del controllo del territorio che su quello dell’intelligence. Finora lo Stato non c’è riuscito forse anche perché ce ne siamo tutti dimenticati. Foggia ha una squadra di calcio in Serie B, ma non ha una Corte d’Appello e una sede della Direzione distrettuale antimafia.
Appena qualche giorno fa il Consiglio regionale della Puglia ha approvato una mozione per l’istituzione di una «giornata della memoria» che serva a ricordare l’uccisione di civili durante la repressione del brigantaggio da parte del nuovo Stato italiano, dopo la caduta del re borbone nel 1861. Interessante iniziativa: rileggere il passato fa sempre bene. Forse però sarebbe più urgente non perdere memoria dei briganti di oggi, quelli che a Foggia e in altri luoghi del Sud comandano e uccidono perché lo Stato italiano se ne è smemorato.
- Giovedì 10 Agosto, 2017
- CORRIERE DELLA SERA