di Massimo Franco
Lo scenario internazionale promette di condizionare radicalmente quello interno. E di frustrare i tentativi di distinguo nel governo rispetto alla Russia di Vladimir Putin. L’avvitamento militare della crisi ucraina indebolisce e sgualcisce la carta della diplomazia e della «soluzione pacifica», caldeggiata soprattutto in ampi settori del centrodestra e assecondata dal Vaticano, per ragioni legate ai rapporti religiosi con gli ortodossi. E si ripercuote inevitabilmente sulla coalizione guidata da Mario Draghi. Si avverte l’esigenza di scongiurare spaccature sull’atteggiamento da tenere, perché una divisione tra filo-Nato e filo-Putin indebolirebbe il peso italiano in Europa. Ieri il leader leghista Matteo Salvini, spesso accusato di essere a favore della Russia, è stato ricevuto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. E sono affiorate critiche velate per il fatto che a riferire sulle tensioni internazionali si sia presentato in Parlamento solo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Draghi in realtà ha parlato dei pericoli di uno scivolamento verso un conflitto durante la sua visita a Firenze. E l’involuzione della crisi prelude a un suo intervento. Ma la questione promette di investire l’intera Europa. L’invito all’Ue affinché parli «con una voce sola» tradisce il timore che la strategia di Putin miri a dividere le cancellerie occidentali. Su questo sfondo, ascoltare parole in libertà su elezioni anticipate, o nuove polemiche sulle misure che l’esecutivo si accinge a prendere, suona come un riflesso autoreferenziale staccato dai veri problemi. Le diatribe sulle alleanze tra il Pd, i centristi e un M5S prigioniero delle proprie convulsioni, o le diatribe nel centrodestra: sono tutti fotogrammi destinati a ingiallire. Ma la domanda è se rientreranno anche gli inviti di Lega e FdI a trattare con la Federazione russa, mentre FI si schiera con la Nato pur esprimendo il timore di un rialzo dei costi dell’energia e di un altro colpo al sistema produttivo del nostro Paese; oppure i tentativi di mediazione in extremis. Il problema si scarica sulle spalle di Draghi, che sarà costretto a fare i conti con l’eterogeneità di una coalizione anche sulla politica estera: sebbene fin dall’inizio abbia tracciato una linea nettamente europeista e atlantista. L’incognita è come questa diversità verrà risolta di fronte a una sfida militare della Russia. Una delle poche notizie positive è l’annuncio dato ieri dal premier a Firenze: e cioè che la fase acuta della pandemia sta veramente per essere archiviata. La fine dello stato d’emergenza dopo il 31 marzo riflette la convinzione che il peggio sia davvero passato. È l’ufficializzazione di un allarme ridimensionatosi già nelle ultime settimane; e soppiantato dall’incertezza economica in materia di energia e di occupazione: timori che invece rischiano di acuirsi.