È bastato nominare la parola onestà. Maurizio Landini l’ha evocata, se ne è anche subito scusato, ma delle scuse poteva anche fare a meno, per quel che son servite: l’aver richiamato l’ idea, il solo concetto, ha squarciato, terremotato, alluvionato la politica italiana con effetti mai raggiunti in un dibattito pubblico in cui lo scambio verbale a sinistra non è mai stato esattamente un dialogo fra educande.
Miserabile, sfigato, opportunista, vecchio, bollito, rimbambito, rottamato, gufo, rosicone, bugiardo, neoliberista, amico dei padroni, venduto: tutte queste parole insieme non sono però riuscite a combinare l’effetto che da solo ha avuto il termine onestà.
Non è per nulla sorprendente questo impatto. Era lì lì, il tema. Ha viaggiato sotto la pelle di tante scelte fatte in questi mesi dal nuovo Pd. È stato nascosto dai tanti lustrini del rinnovamento. Ha perso quota in visibilità rispetto alle giustissime scelte della rottamazione della vecchia classe dirigente. Ma è stato sempre lì, appunto. Ha costituito il retropensiero sulla valutazione di opportunità o meno del Patto del Nazareno, e della svolta politica che accompagna la trasformazione del Pd a Partito della Nazione.
Fino a che qualcuno, e non a caso è stato Landini che non ha né buone maniere politiche né un buon spinner alle sue spalle, si è fatto scappare la frizione ed ha pronunciato la parola: onestà .
Ben venga un chiarimento in merito. La sinistra italiana è stata per decenni, da Berlinguer in poi, identificata con la sua identità morale. Negli anni la questione morale posta dalla sinistra ha preso tante descrizioni. È stata lo strumento di battaglia negli anni di Tangentopoli. È stata l’arma identitaria dell’opposizione a Berlusconi. È stata la pietra fondante del “partito dei giudici”. Ma è stata anche strumento di autodisciplina e autodannazione – ogni leader politico assurto alla guida del Pd è stato sottoposto alla verifica della questione morale, e pochi l’hanno superata – ognuno di loro dannato per una ragione o l’altra.
Negli anni intorno alla interpretazione del concetto di onestà la sinistra tutta, non solo il Pd, ha vinto e ha perso, si è esaltata o ha fatto di se stessa un falò. Questo processo (a volte in senso letterale) è stato il punto su cui si sono concentrate le forze di attacco della destra, dei liberali, dei moderati – che di volta in volta hanno accusato la sinistra di giacobinismo, di tentazioni autoritarie. E in questo dopo Landini è interessante infatti leggere il risorgere immediato di tutte queste indignazioni , riassunte nella frase ” il ritorno del partito degli onesti”!
Insomma, prendere o lasciare, amarla o meno, la questione morale, e di come questa si traduce in politica, è stata il pivot ideologico della identità di quello che oggi si chiama il Pd. Eppure in tutto il veloce processo di rinnovamento non è stata mai affrontata in maniera diretta. Ha sempre ribollito sul fondo però.
In tutte le principali scelte politiche renziane questa identità è stata evocata e risolta in maniera diversa da quello che avrebbe fatto lo stesso partito solo pochi mesi prima. La riforma della Giustizia è stata preceduta dallo smantellamento della superiorità morale della categoria, attaccando I giudici per l’eccesso di ferie. Sul Patto del Nazareno c’è poco da aggiungere – per quanto spiegabile in termini di tattica politica, l’alleanza è una totale delegittimazione di quel Pd che per venti anni ha combattuto Berlusconi come evasore fiscale e personificazione del conflitto di interessi fra politica e denaro.
Ma è sul piano economico che, sorprendentemente, la questione etica in epoca renziana viene svoltata in maniera radicalmente diversa dal passato. La modernità del mercato cui guarda il premier premia una riforma che renda più flessibile e meno pagato il lavoro, e agisca sul miglioramento delle condizioni operative delle aziende. Nulla di colpevole in questa impostazione – è una ricetta (chiamatela come volete, neoliberista o meno) che da decenni viene applicata alle economie occidentali. Con una eccezione: che il capitalismo italiano, a differenza di quello delle altre nazioni europee, difetta di aspirazioni sociali (dov’è il modello participativo?) ma anche di impegno pubblico: che dire dell’enorme evasione delle tasse, del ripetuto spremere I fondi pubblici a fini privati, della scarsa voglia di investire, per non parlare dei 67 miliardi fuggiti all’estero nel solo 2013, l’equivalente di ben due finanziarie?
Come si chiama tutto ciò se non questione morale nella comunità economica? E si può non capire la esasperazione dei sindacati a fronte di questo sbilanciamento di interventi?
Qui non si tratta dunque di definire chi sia onesto e chi sia disonesto. Non ci sono dubbi da parte di nessuno su Squinzi, su Renzi, e ancor meno sui militanti del Pd. Non ci sono dubbi sul fatto che la moralità delle persone è un patrimonio inalienabile della sfera privata. Ma la applicazione pubblica del concetto di onestà è una sfera per eccellenza dello Stato. E, come abbiamo visto, permea direttamente ed indirettamente ogni sua scelta politica.
Quello che è successo fra Landini e Renzi è dunque il disvelamento della vera spaccatura che corre a sinistra. E non ha a che fare con la disonestà personale di nessuno. È una divisione profonda su quale sia il compito etico di un partito di sinistra, e di uno stato guidato da tale partito.