Le parole del prefetto di Bologna riassumono bene quanto sta accadendo, in questi giorni, nel nostro Paese. «Noi salviamo vite», ha risposto il rappresentante del governo a chi mostrava preoccupazione per l’arrivo di centinaia di migranti in Emilia-Romagna. È vero. Salviamo vite e assistiamo donne, uomini e bambini approdati in Italia per sfuggire alla guerra e alla miseria. Accogliamo migliaia di disperati pur non avendo le strutture adatte per farlo, né un piano strutturale adeguato, visto che bisogna fare i conti con le resistenze di alcuni governatori regionali e numerosi sindaci determinati a respingere l’arrivo degli stranieri sul proprio territorio.
La temuta invasione sembra essere cominciata. I diecimila stranieri giunti in Italia negli ultimi sette giorni sono il segnale di una situazione che, entro poche settimane, rischia di diventare difficilmente gestibile. Anche perché è salito in maniera pericolosa il livello di aggressività degli scafisti, fino a trasformare il Mediterraneo in un teatro di battaglia.
I colpi sparati lunedì scorso da quattro uomini a bordo di una motovedetta libica, che così sono riusciti ad ottenere dal comandante del rimorchiatore «Asso 21» la restituzione del barcone utilizzato per traghettare centinaia di persone, sono stati il primo, gravissimo, segnale di allarme. La rissa scoppiata a bordo di un gommone con alcuni giovani cristiani che hanno raccontato di aver visto i loro amici picchiati e poi gettati in mare dai musulmani mostra la ferocia che può scatenarsi quando si vive in condizioni disumane.
L’assalto di ieri al peschereccio siciliano trainato fino alle acque libiche è la conferma che ormai nulla si può escludere, perché i gruppi criminali sono disposti a tutto pur di incrementare il traffico di esseri umani.
Molto altro può accadere: la determinazione di questi scafisti rischia di avere conseguenze ancora peggiori. Eppure nulla si muove. L’Italia rimane sola a fronteggiare la minaccia e soprattutto l’emergenza. Qualche giorno fa, di fronte all’ultima ondata di sbarchi, un portavoce dell’Onu ha riconosciuto al nostro Paese il merito di affrontare questi eventi portando interamente il peso dell’Europa. Poteva essere l’occasione per uno sforzo comune che coinvolgesse tutti gli Stati membri di fronte a un’emergenza umanitaria ormai innegabile.
È accaduto esattamente il contrario. Da Bruxelles si sono affrettati a precisare che nessuna iniziativa sarà presa. Anzi, è stato specificato che «non c’è alcuna volontà di rafforzare l’operazione marittima, pur nella consapevolezza dei limiti della missione Triton». Quella nota ufficiale dei ministri degli Affari europei di Fra ncia, Germania, Italia e Slovacchia per sollecitare «una reazione forte e comune dell’Europa, una risposta risoluta e una politica migratoria comune e coerente di fronte agli ultimi tragici eventi nel Mediterraneo» appare tanto retorica quanto inutile. Soprattutto incoerente, visto che proviene da coloro che dovrebbero essere parte attiva di questa «politica», promotori di iniziative concrete e urgenti.
Il nostro rappresentante non avrebbe dovuto neanche firmarla, proprio perché non ha alcun valore effettivo, anzi rappresenta la prova che ogni tentativo di ottenere collaborazione dagli altri Paesi è ormai miseramente fallito. Come fallita è la speranza di poter fermare gli arrivi dei migranti mettendo qualche decina di mezzi navali a trenta miglia dalle coste siciliane.
A questo punto è necessario varare nuove regole che proteggano gli uomini impegnati nelle operazioni di soccorso e salvataggio in mare. E l’Italia deve farlo in piena autonomia, per prevenire conseguenze che possono essere drammatiche. La Libia è ormai fuori controllo, siamo esposti a un pericolo sempre più tangibile. Restare inerti e isolati rischia di avere esiti tragici. È inutile illudersi di riuscire a trovare collaborazione internazionale. Bisogna agire da soli e farlo prima che sia troppo tardi.
Fiorenza Sarzanini
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