Giuseppe Sarcina
Gli americani alla guida del «gruppo di contatto» (43 Paesi). Svolta della Germania: fornirà a Kiev una cinquantina di blindati
WASHINGTON Quattro-cinque settimane per «sconfiggere» Vladimir Putin, con gli Stati Uniti al comando di un «gruppo di contatto» formato da 43 Paesi. Con il vertice di Ramstein si apre una nuova fase militare e anche politica del conflitto. È un cambio di passo studiato da settimane dal Pentagono, naturalmente con l’avallo del presidente Joe Biden, e assecondato dagli alleati della Nato.
Ieri il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha accolto gli altri ministri nella base americana in Germania con un senso di urgenza: «Le prossime settimane saranno decisive. L’Ucraina può vincere e penso che tutti noi dovremmo fare il possibile per aiutarla. Ma ora occorre fare presto, non c’è tempo da perdere, dobbiamo muoverci con il ritmo della guerra». Praticamente tutti i partecipanti ne hanno preso atto. Il caso più vistoso è quello della Germania, che ha accantonato la prudenza iniziale. La ministra della Difesa Christine Lambrecht si è presentata al vertice con l’annuncio più sostanzioso: la consegna di un numero non ancora precisato di blindati Gepard (o Cheetahs) dotati di cannoni anti-aereo. La Krauss-Maffei Wegmann, industria bavarese, ha fatto sapere di aver circa 50 semoventi pronti per la consegna.
La riunione è stata aperta dal ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov che ha elencato i bisogni dell’esercito schierato nel Sudest del Paese. Oltre a quello della Germania, ci sono stati gli impegni pubblici di Gran Bretagna (missili anti-aereo) e Canada (otto blindati). L’Italia ha confermato la fornitura di un secondo round di sistemi anti-aereo, anti-carro, oltre a mortai e munizioni. Nei prossimi giorni dovrebbero partire anche ordigni più pesanti.
Austin, comunque, ha insistito sulla necessità di allargare il più possibile la rete del sostegno concreto alla resistenza ucraina. La mappa geo politica del summit di Ramstein testimonia l’intensità dello sforzo politico e diplomatico americano. Oltre ai 30 Paesi Nato (Usa, Regno Unito, Turchia, Canada, Italia, Germania, Francia e altri europei),erano in lista quattro asiatici e del Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda); tre mediorientali (Israele, Giordania e Qatar); quattro africani (Kenya, Liberia, Marocco e Tunisia) e infine Svezia e Finlandia, sempre più vicini all’Alleanza atlantica.
Il generale Usa Milley
È in gioco l’ordine internazionale. Se la Russia non verrà punita, entreremo in un’epoca di crescente instabilità
Austin ha tirato le conclusioni in una conferenza stampa. Lunedì, di rientro da Kiev, il capo del Pentagono aveva osservato che l’obiettivo adesso è «indebolire la Russia e impedirle di riacquisire la forza militare necessaria per aggredire altri Paesi». Ieri Austin ha spiegato: «Gli ucraini hanno già inflitto pesanti perdite in termini di mezzi e capacità militare all’Armata russa. Noi faremo il possibile per appoggiare l’esercito di Kiev. Nello stesso tempo, con le sanzioni economiche, contiamo di impedire a Mosca di rimettere in sesto le sue forze armate».
Ma fino a dove sono disposti a spingersi gli Usa e i suoi partner? Austin glissa sulla «minaccia nucleare» che Mosca torna ad agitare: «Sono proclami che non aiutano la de-escalation». Dopodiché: «Putin ha scatenato una guerra senza giustificazione e ora tocca a lui fermarla».
A Washington, intanto, il segretario di Stato, Antony Blinken, diceva ai senatori della Commissione Esteri: «la strada del negoziato resta aperta. Noi appoggeremo le soluzioni ritenute migliori da Kiev». Bisogna prendere nota, però, anche delle dichiarazioni rilasciate alla Cnn dal capo di Stato maggiore Mark Milley: «È in gioco l’ordine internazionale. Se la Russia non verrà punita, allora entreremo in un’epoca di crescente e preoccupante instabilità».