Per chi viene scritta la Legge? E be’: per tutti, no? Se la Legge è uguale per tutti, allora è ovvio che viene scritta per tutti. Passiamo per un attimo sopra questa sottile ipocrisia, dal momento che sarà pure vero che la Legge è uguale per tutti, però l’abbiamo visto tante volte che non tutti sono uguali di fronte alla Legge (qualcuno, al solito, è più uguale degli altri, e qualcuno molto meno). Consideriamo invece la domanda: per chi viene scritta la Legge? Qual è la persona che ha in testa il Legislatore – figura mitologica, mezzo anonimo Licurgo e mezzo onorevole di provincia che risponde agli ordini del suo Partito – quando redige un testo di legge? Uno può rispondere: ma non deve avere in testa nessuno in particolare, se non il cittadino qualunque! Quello che una volta era l’uomo della strada e che adesso è l’uomo e/o donna divanato davanti a piccì o tivvù, dipende dall’età. Se la Giustizia è bendata (e quindi cieca) quando giudica, figuriamoci allora se il Legislatore ci vede quando scrive una legge!

In realtà, non è proprio così. Consideriamo un esempio tutto sommato noto di Legislazione: Dio affida a Mosè le Tavole della Legge. Un modello legislativo che ha anche avuto qualche fortuna, nei secoli. Lì sta scritto che, date le premesse (ovvero la fonte della Legge: Io sono il Signore Dio tuo), ci sono cose non devono essere fatte (Non rubare, Non uccidere), e cose che invece devono essere fatte (Onora il padre e la madre). E c’è pure qualche utile suggerimento su come condursi nel tempo libero (Ricordati di santificare le feste). E se a qualcuno, con l’aria che tira, può sembrare un vetusto testo antifemminista e sessuofobo (e quindi prossimamente punibile), risponderemo che rappresenta piuttosto l’esatto contrario: è l’uomo che non deve desiderare la donna d’altri – la donna può evidentemente fare quel che vuole, quindi è molto più libera.

Insomma, nelle Tavole della Legge il destinatario dei precetti era una persona qualunque, la quale veniva avvisata del confine tra lecito e illecito. Un po’ nebbiose le conseguenze, d’accordo: ma sapere quando l’Altissimo non sarebbe stato contento, in ogni caso, era più che sufficiente.

In Italia questo modello non vale – il Legislatore ci vede benissimo e sa a priori che siamo tutti colpevoli. Mafiosi. Corrotti e corruttori. Evasori totali. E scrive le leggi partendo da questa indubitabile premessa. Arrivando poi a esiti discutibili.

Prendiamo ad esempio l’ex ministro della Giustizia, Bonafede – Fofò d.j.! –, quello che diceva d’aver imparato all’università che il processo penale è quella cosa che si chiude con la sentenza di condannaSi capisce bene perché un uomo simile si batta come un ossesso contro l’esistenza della prescrizione: chiunque sfiori un procedimento penale deve – per forza! – avere un qualcosa di minimamente colpevole. C’è il fumo di un’iscrizione nel registro degli indagati? Allora deve per forza esserci anche qualche arrosto, da qualche parte. E quindi si tenga vivo il procedimento penale contro di lui per sempre. Come dire: Kafka, ci hai rotto con i tuoi sottili riferimenti alla colpa immanente dell’uomo, qui si va oltre: tutti gli uomini nascono con un peccato originale da scontare, ma gli italiani li hanno molto più grossi degli altri. (E non solo hanno peccati grossi: sanno anche come si usano, per cui vanno puniti a prescindere, e per sempre).

E se non è possibile metterli in galera, preoccupiamoci bene di realizzare tutto quel che può comunque rendergli impossibile la vita. Per cui – ipotesi per assurdo! – se un imprenditore qualunque (non mafioso, non corrotto né corruttore, niente: un tizio qualunque con la sua aziendina) si ritrova coinvolto in un procedimento penale, nel quale magari anni dopo verrà pure archiviato, nel frattempo dovrà comunque rinunciare a gare di appalto, dimettersi eventualmente da consigli d’amministrazione e, se è particolarmente fortunato, trovarsi pure additato sui giornali come il peggiore dei mostri. (Si ragiona per assurdo, sia chiaro. Per fortuna).

(Va notato che chi ha creato queste norme è lo stesso Legislatore che, smessi i panni di Torquemada, si presenta poi alle telecamere col piglio dell’economista e dichiara di stare dalla parte dei precari, ma anche degli imprenditori, in stretta osservanza degli insegnamenti dell’Etica protestante e spirito del capitalismo. Perché Bisogna attrarre in Italia gli investimenti stranieri! E per quale motivo dovrebbero sentirsi attratti? Perché a Rimini ci abbiamo i bagnini e le donne di Napoli sono passionali? È il solito folklore italiano, sempre tutto mandolini e triccheballacche).

Sulla prescrizione sta lavorando il ministro attuale, Marta Cartabia. E qualcosa di utile certamente riuscirà a portare a casa, nonostante sia costretta a lottare per depotenziare le fesserie altrui trovandosi stretta tra fatti di bassa cucina politica – e allora nominiamo di meno la prescrizione, lavoriamo sull’improcedibilità, che è parola e concetto diverso, e speriamo che basti. Se non altro, Cartabia è una persona che certamente sa di cosa parla. Ciò che non sempre è accaduto di recente, se solo prendiamo ad esempio l’ex ministro Bonafede – Fofò d.j.! –, quello che diceva che gli innocenti non vanno in carcere (sembra perfino brutto sprecare battute, su questo – la frase in sé è talmente grottesca da far ridere di suo, non fosse per gli innocenti in galera).

Resta il fatto che ormai la Legge è diventata questo: non più soltanto un avviso che certi comportamenti conducono a determinate conseguenze, ma uno strumento per un deciso intervento di trasformazione. Certo, è sempre accaduto: ma qui accade non a colpi di diritti riconosciuti da una nuova legge, ma attraverso la minaccia di sanzioni penali. Ed è una cosa piuttosto diversa – dal sapore totalitario. Si intende, totalitario in senso ampio: lo Stato interviene su tutta la vita dei suoi cittadini. C’è a chi piace – ad altri, molto meno. Perché sembra piuttosto dubbio che la conquista di più grandi libertà possa realizzarsi attraverso lo strumento più punitivo dello Stato, ovvero la legge penale.

Che cos’è, del resto, il DDL Zan? Un riconoscimento di diritti? Un avviso alla cittadinanza su quel che può capitare in caso di comportamenti omofobici? Certamente no, per quelli c’erano già leggi a sufficienza (già prima non si poteva insultare la gente o andare in giro a menarla – applicando l’aggravante dei futili motivi, ce n’era per punire duramente). La premessa della legge, nemmeno tacita, è invece quella per cui l’italiano è colpevole di omofobia, ne è malato: ma, grazie a questo testo, verrà curato. Non è una questione di diritti, visto che nella legge vengono infatti previste soprattutto sanzioni penali. Quelle insomma che Bonafede – Fofò d.j.! –, padroneggiava molto poco, visto che riusciva a confondere dolo e colpa. E sul fatto che la legge verrà interpretata in modo uniforme dai giudici penali, visto come è scritta, auguri a tutti.

Quel che è certo è che bisogna rassegnarsi: un’idea di Legge, vecchia di secoli, è stata completamente fatta a pezzi. Adesso si sta temporeggiando con i suoi brandelli: qualche ministro lacerandoli ulteriormente, qualche ministro cercando di tenerli insieme come può. Quel che accade sempre, nei momenti di transizione.

(Nel frattempo, in un altro luogo della Città, il Legislatore meditava nuovi, coinvolgenti, interventi…).