È ancora possibile dirci viaggiatori? Lo sarà mai più in futuro? O L’efficienza della mobilità contemporanea, l’onnipresenza della comunicazione, la capillarità del mercato globale ci hanno definitivamente trasformati in turisti, ovvero clienti e consumatori di quest’enorme industria che ci vende la bellezza del mondo?
Se si è passati in poco tempo dall’uso del mondo all’usura dei mondo, è perché la massificazione del desiderio turistico, camuffata da libertà di movimento, è avvenuta all’interno di una logica industriale che ha distrutto la dimensione simbolica del viaggio, trasformandolo in una «fuga d’evasione» da fare in tempi e luoghi deputati, e soprattutto passando sempre alla cassa.
Ponendosi al servizio del consumo mondiale, il turismo è diventato, insieme alla televisione, agli antidepressivi e al calcio, uno dei più potenti anestetici che la società contemporanea elargisce ai suoi Logorati cittadini, immersi in una iper-mobilità che dà la misura della loro insoddisfazione.
Eppure, nonostante la standardizzazione dei desideri e il saccheggio ambientale, il turismo mantiene intatto il suo potere incantatore. Forse perché il turista, lontano dal suo territorio originario, che ormai non conosce più, nutre la confusa speranza di trovare altrove ciò che gli manca a casa: una vita conviviale in un territorio ancora carico di senso. Senza accorgersi però che con la sua stessa presenza distrugge ciò che è venuto a cercare.