di Marco Ruffolo
ROMA — «Né incubo né sogno: la mia esperienza al ministero dell’Economia è stata sicuramente positiva anche se molto molto faticosa. E poi, malgrado le dichiarazioni più o meno avventurose di taluni esponenti di quel governo, malgrado le tante parole d’ordine politiche, le tante promesse, la linea di fondo che è passata è stata sempre la mia. Abbiamo consegnato al nuovo esecutivo un’Italia che ha evitato il commissariamento e che ha anzi migliorato i conti pubblici facilitando così la manovra 2020». Quindici mesi dopo il suo timido ingresso nella stanza dei bottoni dell’economia, Giovanni Tria riprende la strada di casa, torna da professore nella sua Tor Vergata, l’Università dove ha insegnato Economia Politica prima di accettare di fare il ministro nel governo meno europeista della storia d’Italia. Tria ha imparato presto a mediare tra le fantasmagoriche promesse elettorali di Lega e M5S e le regole europee, mettendo un argine, quando ha potuto, allo sfrontato sovranismo di chi diceva che possiamo fare a meno dell’Europa.
Professor Tria, cosa avrebbe fatto se Salvini, invece di aprire la crisi, avesse insistito con il suo progetto di Flat tax da 17 miliardi, se le avesse imposto una manovra fiscale in deficit?
«Una simile ipotesi non è mai stata in discussione. Le dichiarazioni sulla riforma fiscale da fare in deficit, senza coperture, erano fatte solo a fini politici, ma io nella mia bozza di manovra, concordata con i viceministri Garavaglia e Castelli, avevo scritto ben altro».
E cioè?
«C’era scritto che avremmo scongiurato la clausola di salvaguardia sull’aumento dell’Iva (23 miliardi), in parte (8 miliardi) con entrate fiscali aggiuntive e risparmi di spesa su Quota 100 e Reddito di cittadinanza, e per il resto con un taglio delle spese tendenziali, uno sfoltimento delle agevolazioni fiscali e misure anti-evasione».
E per abbassare le tasse, non sarebbe rimasta nessuna risorsa?
«La mia idea era quella di rimodulare l’Iva, aumentando alcune aliquote agevolate, senza creare danni ai consumi: si sarebbero potuti liberare altri 8 miliardi per abbassare l’Irpef. Poi se la vogliamo chiamare Flat tax o taglio del cuneo fiscale, non vedo una grande differenza».
Beh, veramente la flat tax avvantaggia soprattutto i più ricchi. E poi, anche nella sua ultima versione, sarebbe costata non 8 ma almeno 17 miliardi.
«È questo il punto: non possiamo permetterci una detassazione di 17 miliardi. Questa era un’idea della Lega, e tale è rimasta».
C’è stato un momento in cui gli attacchi a lei da parte di Salvini sono stati così forti che ha pensato di lasciare?
«No, ho sempre pensato che sarei rimasto fin tanto che fossi stato utile. E devo dire che le mie idee sono state quasi sempre accettate. Come quando nel dicembre scorso abbiamo evitato la procedura di infrazione europea. O quando ho liquidato l’idea dei mini-Bot. In un partito ci sono sempre degli estremisti che parlano. Ma il merito maggiore è stato evitare il commissariamento».
Eppure c’era qualcuno disposto ad accettare la procedura di infrazione per sfidare la Ue.
«Sì, è vero, ma sarebbe stato un disastro: avremmo perso la nostra libertà e sarebbe riesploso il nefasto dibattito su Europa sì-Europa no, che tanto ci ha fatto male».
Lei sta dicendo in pratica che con lo scorso governo abbiamo dovuto subire una specie di “tassa sul sovranismo”, con uno spread 150 punti più alto di adesso? Con il nuovo esecutivo avremo anche più flessibilità sul deficit?
«Non lo so, una certa flessibilità l’hanno ottenuta tutti i governi.
Certo, a Bruxelles non rideranno in faccia a un governo amico dell’Europa. Però attenzione: Bruxelles prima di dare più flessibilità sugli investimenti, vuole essere sicura che poi noi quegli investimenti riusciamo a farli. Le dichiarazioni sono importanti, ma poi contano i fatti. Comunque è vero: di dichiarazioni avventate ne abbiamo avute troppe. Quando a luglio abbiamo fatto una manovra di aggiustamento, lo spread è tornato a scendere. Ma poi sono arrivate nuove le dichiarazioni che negavano gli impegni presi nella lettera alla Commissione Ue, e lo spread è risalito. Eppure quella lettera era stata letta e sottoscritta da tutti».
In un governo che ha fatto della chiusura dei porti una delle sue più decise parole d’ordine, lei ha avuto mai discussioni con suo figlio Stefano, che su una delle navi delle Ong ha contribuito a salvare i migranti?
«Rispetto profondamente le sue idee che in fondo sono anche le mie.
Sono diversi gli strumenti per affermare quelle idee. Credo che l’immigrazione richieda una seria regolamentazione».
Che cosa si sente di dire al suo successore Gualtieri?
«Non devo dargli consigli».
Romano Prodi gli consiglia una drastica manovra contro l’evasione fiscale: sarebbe possibile dimezzarla in poco tempo: 50 miliardi in meno. È così?
«Grazie anche alla tecnologia, si può intervenire contro l’evasione più di prima. La fatturazione elettronica, introdotta da Gentiloni e da me confermata senza proroghe, sta contribuendo ad aumentare il gettito dell’Iva. Vorrei però avvertire di stare attenti a come verranno utilizzati i soldi recuperati: non vanno buttati in spese correnti assistenziali».
Come il reddito di cittadinanza?
«No, come tanti bonus elargiti in passato da diversi governi».
Secondo lei, l’Europa favorirà ora l’Italia nella sua manovra economica?
«Quel che posso dire è che è cambiato il clima generale in Europa, perché la recessione tedesca sta spingendo tutti a reclamare una politica di bilancio più espansiva».