di Emanuele Lauria
ROMA — Professor Tremonti, con il giuramento di Mattarella si è chiusa una fase che peraltro l’ha vista protagonista indiretto, come possibile candidato per il Quirinale. I partiti ne sono usciti con le ossa rotte e ora pensano già alle elezioni del 2023. Condivide l’impressione che sarà un anno difficile?
«Giovedì, alla stessa ora, abbiamo sentito il discorso di due presidenti: a Roma quello di Mattarella, che ha parlato di stabilità politica. A Francoforte quello di Cristine Lagarde, che ha invece parlato di stabilità dei prezzi. Io ho la sensazione che la stabilità dei prezzi, come invocata da Lagarde, non produrrà stabilità politica in Italia e nell’Ue, ma l’esatto contrario».
Insomma, mentre le forze politiche parlano di legge proporzionale e nuovi assetti politici, rischiamo una nuova e inattesa crisi economica.
«Guardi, l’inflazione non è temporanea ma quasi strutturale. Per una combinazione straordinaria di fattori, a partire dal costo dell’energia, delle materie prime, delle terre rare, dei piani verdi.
Abbiamo un inflazione al 5% ma i tassi d’interesse al -0,5, a differenza che negli anni ’80: allora, a parità di inflazione, i tassi erano all’8. Ora la Bce deve gestire questa asimmetria: potrà farlo interrompendo l’acquisto di titoli pubblici o alzando i tassi.
Forse azionando entrambe le leve.
Ma intanto lo spread, cioè la misura della capacità di pagare il debito, è a 150 ed è in crescita. Ecco perché, prima che a ciò che ci aspetta, si farebbe bene a pensare a quello che già accade».
Cosa sta accadendo?
«La fine della montagna incantata. Il
Whatever it takes del 2015 è stata una giusta misura di pronto soccorso. Ma quella misura, che altro non è che la creazione di denaro senza limiti, prolungata all’infinito ha alterato la struttura della politica. Spostando l’asse del potere dai governi alla Bce, e da questa agli algoritmi. La pandemia ha fatto da booster rispetto a questi processi».
Eppure, fino a qualche mese fa, gli indici economici erano positivi.
«Ocse e Bankitalia hanno corretto il tasso di crescita. La ripresa è in calo, secondo l’ultimo dato di Confindustria. È evidente che il nostro rimbalzo è stato determinato soprattutto dalle agevolazioni nell’edilizia. Fatto sostanziale ma congiunturale».
Nessuno poteva prevedere questo scenario?
«Guardi, i documenti che hanno chiuso il G7 di Cardiff e il G20 di Roma sono stati fatti in stato di assenza dalla realtà, da turisti della storia. Pensi che le conclusioni di Cardiff indicavano un quadro stabilizzato in Afghanistan… L’anno scorso che i prezzi sarebbero saliti, e i tassi pure, lo sapevano tutti.
Purtroppo in questo clima è stata fatta in Italia una Finanziaria elettorale. In realtà è per sempre la fine delle manovre espansive».
L’arrivo degli oltre 200 miliardi del Pnrr potrebbe cambiare profondamente il quadro.
«Il Pnrr, oltre a essere esso stesso causa di inflazione, è molto complesso da realizzare. Ed è subordinato a importanti riforme ancora da fare: casa, pensioni, fisco, giustizia, concorrenza. Il tutto in un contesto politico complicato dalle elezioni locali, dai referendum, dalla prospettiva delle Politiche. E sotto il rigido controllo di un’Europa che, si avverte, sarà meno amichevole. Non è neppure detto che ci sarà un asse Draghi-Macron. Nel senso che non do per scontato che quest’ultimo vinca le elezioni in Francia. Il tempo ormai è ridotto, lo scenario molto critico. Ecco perché, al posto di Draghi avrei fatto a meno, a Natale, di lanciare il messaggio: tutto a posto, il grosso è stato fatto».
Vede uno strumento migliore, rispetto all’unità nazionale, per affrontare questo periodo?
«La formula dell’unità nazionale, usata in Senato per la fiducia, fa riferimento in modo non corretto a un precedente storico, quello del 1947, che in realtà fu cosa diversa: dopo la guerra quell’operazione fu fatta facendo uscire Togliatti, che ne fu ben felice, per incassare il piano Marshall. Oggi l’unità nazionale va verificata in concreto. Io non vedo grandi avanzamenti rispetto a un anno fa».
Abbiamo un Paese che ha retto la sfida con l’emergenza Covid.
«I vaccini li ha messi a disposizione la scienza americana, li ha gestiti l’Europa con i grandi contratti, poi sono stati fatti in tutto il Continente.
Ora si stanno sviluppando anche in Africa. Parlerei di un’illusione di successo. Il fatto è che i partiti sono rimasti a guardare, tolleranti. E ora si interrogano sull’architettura politica futura, sulla legge elettorale. Non sono questioni attuali. Bisogna superare questa fase difficile».
Non crede alla fine del bipolarismo, all’esigenza – espressa dal ministro Brunetta a Repubblica di rimodellare il sistema politico?
«È la buona politica che fa i buoni assetti. Io sono convinto che in Italia ci siano due grandi aree politiche: il centrodestra e il centrosinistra. Lo dice la nostra storia. I cambiamenti avvengono all’interno di questi blocchi, ma resta fermo il numero dei blocchi. Occorre tenere conto di questa realtà. L’unico elemento preoccupante è l’astensione».
Il centrodestra è in subbuglio.
Salvini chiede a Berlusconi di federarsi sul disegno del Partito repubblicano americano. La Destra di Meloni sembra destinata a restare fuori.
«Mi limito a dire che il centrodestra è una parte strutturale del nostro sistema politico. Come si comporrà è un problema che secondo me andrebbe posto almeno fra sei mesi.
Vedo una data critica, agosto, come fu nel 2011 con gli spread. Ci sono tutti i presupposti per un ripetersi di quella situazione».
Ci sono anche i presupposti, nel 2023, per il ritorno a un governo politico.
«Io sono stato ministro di un governo politico. E la pagella fu quella scritta da Draghi, allora governatore della Bce, nel giugno del 2011: si apprezzavano la gestione prudente delle finanze pubbliche e le correzioni inferiori a quelle di altri Paesi. Poi cambiò qualcosa nella valutazione. Ma, vede, il pubblico bilancio contiene Sanità, pensioni, la vita delle persone. E questi non sono obiettivi finanziari. Ma morali.
Dunque, anzitutto politici».