Il nome fa pensare alla Torino degli anni Sessanta, alla stagione del Deposito d’Arte Presente (DPP 1967-68), laboratorio-cooperativa in cui si tenevano esposizioni, performance, spettacoli. Anche il format, quello dell’officina creativa, è simile. C’è l’omaggio all’Arte Povera, che quest’anno compie mezzo secolo. E c’è uno sguardo sulla creatività contemporanea dal 1994 a oggi. Ricognizione e celebrazione. Sperimentalità piemontese e collaborazione tra istituzioni, gallerie, collezionisti. La mostra che convive con la fiera. C’è tutto questo nel Deposito d’Arte Italiana Presente, progetto espositivo di Artissima curato da Ilaria Bonacossa e Vittoria Martini. Un’officina di talenti. Un archivio animato che raccoglie opere e nomi. Dalla A di Giorgio Andreotta Calò alla Z di Italo Zuffi.
Torino, il suo passato, l’attitudine all’innovazione ereditata dagli anni Sessanta, quando agli artisti non bastava più esporre in sedi «borghesi». Volevano un capannone industriale in cui osare e sperimentare. Partendo da questa identità cittadina — e dal legame tra centro e periferia, tra innovazione e fabbrica — Artissima, la fiera d’arte contemporanea che si terrà dal 3 al 5 novembre all’Oval del Lingotto, ha deciso di festeggiare la sua ventiquattresima edizione regalandosi uno spazio «eccentrico». Un luogo in cui muoversi tra opere ammassate senza gerarchie. Proprio come in un magazzino. «La decisione di presentare l’arte italiana nella confusione che caratterizza un deposito — spiega la direttrice della fiera, Ilaria Bonacossa — ha la sua portata critica. Il nostro patrimonio è molto spesso poco sfruttato».
Il più anziano è Maurizio Cattelan («pari merito» con Bruna Esposito, entrambi del 1960) , la più giovane è Alice Ronchi, 1989. Alcuni sono nati all’estero, tutti sono artisti italiani. Sono più di 130 i nomi «in Deposito». Le opere di 21 di loro, tanti quanti le lettere dell’alfabeto, compaiono in queste due pagine, scelti e commentati per «la Lettura» dalla direttrice di Artissima. Che precisa: «Non si tratta di una classifica, che vedrebbe la presenza immancabile di nomi noti nel panorama internazionale ( nel Deposito compaiono big come Vanessa Beecroft, Francesco Vezzoli, Nico Vascellari, ndr ), né dell’elenco degli artisti il cui lavoro è più affine alle nostre indagini curatoriali». Il senso è un altro: «Offrire uno spaccato dei vari approcci creativi, delle poetiche e degli stili presentando lavori realizzati con diverse tecniche artistiche — video, fotografia, disegno, performance, pittura, scultura». E ancora: «Gettare luce sull’eterogeneità della ricerca degli ultimi vent’anni. Proprio come un abbecedario, questa lista intende dare le nozioni di base per imparare a leggere l’arte contemporanea italiana come un racconto aperto in continuo divenire».
I quadri sbucano dalle rastrelliere; le sculture sono appoggiate ai muri; scaffali, carrelli e casse di legno diventano «supporti espositivi». Ed è un invito a capire e storicizzare l’arte dei due decenni appena trascorsi, a non sottovalutarne la spinta innovativa. Perché se è vero che non manca l’omaggio all’Arte Povera («un movimento geniale, ma per quello ci sono i musei», continua Bonacossa) e allo «strappo» torinese di 50 anni fa, è altrettanto evidente che da quella stagione il «nuovo» Deposito vuole affrancarsi, mostrando quello che di importante — e di bello — c’è nella produzione artistica più giovane.
Si parte dal 1994, anno di nascita di Artissima. Le curatrici hanno rovistato tra i cataloghi, chiesto aiuto ai mercanti d’arte, coinvolto le fondazioni e le gallerie presenti in fiera per trovare gli artisti più rappresentativi, quelli che hanno lavorato per le istituzioni piemontesi, o che da queste sono stati premiati. Ne è nata una mappa generazionale «con un tratto territoriale preciso, se fossimo stati a Roma avremmo fatto scelte diverse, ma questa è una lista, non “la” lista».
Talenti riconosciuti e da individuare, «decani» e promesse. Tendenze. Ilaria Bonacossa sorride: «Nei primi anni Novanta non dipingeva quasi nessuno, ora molti stanno tornando alla pittura e addirittura alla figurazione. Assistiamo anche alla riscoperta degli anni Ottanta». Difficile trovare «filoni creativi comuni», la direttrice di Artissima parla piuttosto di costellazioni, macrotematiche, «per esempio ci sono gli ultradigitali e quelli che hanno rinunciato alle nuove tecnologie». Tutti, contattati via mail dall’organizzazione, «hanno risposto entusiasti al nostro gioco». Quale gioco? «Vedere cos’è l’arte italiana oggi». Sarebbe? «Un modo di raccontare il presente e immaginare il futuro. Insieme i nostri 130 artisti ci riescono benissimo».