Le tensioni nel Pd
di Franco Camarlinghi
Enrico Letta ha preso, fin dal primo momento, una posizione chiara e coraggiosa sulla guerra in Ucraina, schierandosi per sostenere in ogni modo la resistenza contro Putin, senza i complessi del vecchio antiamericanismo di sinistra. Una sorpresa per molti, abituati a pensare all’allievo di Beniamino Andreatta come a un tipico giovane (allora) Dc dell’ultimo tempo della Prima Repubblica, poi divenuto dirigente del Pd, cioè di un assemblaggio mal riuscito (definizione di Massimo D’Alema) fra ex comunisti ed ex Dc di sinistra. Insieme a Letta anche altri dirigenti del Pd hanno mostrato una capacità di leadership che prima non si poteva chiaramente supporre: per stare a Firenze e in Toscana basta ricordare Dario Nardella e la manifestazione in piazza Santa Croce. Per chi conosce la lunga storia del cosiddetto pacifismo, da quello promosso dall’Urss nel secondo dopoguerra, a quello di origine soprattutto cattolica, era abbastanza sorprendente che, soprattutto in Toscana, non prendesse corpo una qualche fronda contraria alla posizione del Pd. La fronda ha preso le sembianze di alcuni dei protagonisti più noti della vicenda politica del fu Pci e delle successive sigle fino al Pd: Vannino Chiti, Claudio Martini, Enrico Rossi. I tre firmano contro l’aumento delle spese militari, approvato da quasi tutto il Parlamento, con il motivo che tale decisione è eticamente inaccettabile e politicamente sbagliata, perché si devono realizzare forze militari europee e non aumentare spese nazionali.
Naturalmente l’Italia ha il dovere di sostenere la lotta degli ucraini, dicono, ma non incrementando la spesa militare. Non sembra esserci nella posizione collettiva alcunché sull’invio o meno di armi a Kiev. Non è chiaro come si faccia ad aiutare concretamente gli ucraini in una guerra contro una potenza come la Russia, con i dubbi dei nostri tre tenori e dei loro accompagnatori. Tre tenori poiché, anche se non sono paragonabili a Carreras, a Domingo e a Pavarotti, in qualche modo danno l’idea di impostare un discorso comune, anche se con voci e repertori diversi. Chiti, ex ministro di Prodi, sembra essere quello che dà lo spunto organizzativo e promozionale e, se mi è consentito lo scherzo, una sorta di Pavarotti di tanti anni fa. Chiti, per antica sua consuetudine di studio, è stato un comunista molto considerato dagli ambienti cattolici che hanno definito una particolare identità politica della Toscana: è dunque adatto a collegare una certa area a una posizione di contestazione morale e politica della leadership attuale del Pd, in particolare in Toscana. Il fatto è che, seppure senza clamori più di tanto rilevanti, in vista delle scadenze elettorali e di quelle congressuali nel Pd, si avvertono movimenti diversi che vanno a interrompere un prolungato letargo della discussione e del confronto, o se si vuole dello scontro. Basta pensare alle rotture nello schieramento largo di lettiana memoria per quanto riguarda il prossimo voto a Pistoia, oppure a Lucca o a Carrara, con soluzioni e prospettive diverse da una città a un’altra. Le contraddizioni sono a sinistra come a destra, cioè nel campo, o campetto, di Renzi e compagnia e a tali contraddizioni dovrebbero rispondere con chiarezza sia l’orchestra stabile che il suo direttore, cioè il Pd e la sua leadership nazionale e locale. Invece, un altro segnale di disagio profondo è nelle righe assai aggressive con le quali numerosi esponenti del Pd di Siena si sono dimessi dal partito: loro e gli altri qualche ragione sulla asfittica capacità di discussione nel Pd ce l’hanno di certo, anche se il tempo non sembra ispirare più di tanto. Tenori e aspiranti coristi in Toscana, basta che nessuno dimentichi che il teatro in cui si recita è a cielo aperto e insieme alla neve cadono bombe: si chiama Ucraina.
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