Sulla Germania lo spettro della recessione A giugno crolla la produzione industriale

 

Meno 1,5% su maggio e un clamoroso -5,2% rispetto a un anno fa. Soffrono il settore manifatturiero e le banche

Walter Rauhe

walter rauhe
berlino
L’economia tedesca tossisce e l’Europa intera trema e teme (a ragione) un contagio. Nel mese di giugno la produzione manifatturiera nei settori industriali, in quello dell’edilizia e in quello energetico ha subito una contrazione dell’1,5% rispetto al mese precedente e di ben il 5,2 rispetto allo stesso mese del 2018. Il dato, reso noto ieri dall’ufficio statistico Destatis, è di gran lunga peggiore rispetto alle attese degli analisti che avevano previsto un calo più contenuto attorno allo 0,5%. La principale economia europea subisce dunque una battuta d’arresto che rischia a questo punto di trascinare il Paese in una recessione tecnica.
«Una diminuzione del prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest’anno è praticamente inevitabile», sostiene il capo economista della VP Bank, Thomas Gitzel. Dello stesso avviso è anche il ricercatore della DekaBank, Andreas Scheuerle. «Misurata all’interno del secondo trimestre, la produzione industriale in Germania è calata dell’1,8%, cosa che avrà conseguenze dirette sull’andamento del Pil. Anche per il terzo trimestre i segnali non sono incoraggianti e se dovessimo registrare una seconda contrazione del prodotto interno lordo consecutiva ci troveremo di fatto in una recessione tecnica».
Nel primo trimestre il Pil era ancora aumentato dello 0,4%, mentre nelle previsioni ufficiali del governo per l’intero anno viene ancora prevista una crescita complessiva dello 0,5%. Un ottimismo non condiviso però dagli esperti e che non trova finora conferma anche nei principali indici economici. In quello stilato dal prestigioso istituto Ifo di Monaco di Baviera attorno alla produzione industriale, la maggioranza delle aziende tedesche prevede i peggiori risultati dal 2012 ad oggi. Nel mese di giugno sono calati anche la domanda interna e il numero dei posti vacanti.
«L’incombenza di una Brexit senza un accordo fra Gran Bretagna e Unione Europea, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e le tensioni con l’Iran pesano ulteriormente sull’economia tedesca che dipende ancora in massima parte dalle sue esportazioni», dice Scheuerle. Non a caso le notizie che giungono dal Paese locomotiva economica del vecchio continente sono tutt’altro che positive.
Il primo istituto finanziario della Germania, Deutsche Bank, annuncia il taglio di 18mila posti di lavoro e il suo ritiro dalle piazze affari internazionali. I cronici problemi che affliggono ormai da anni la seconda banca tedesca Commerzbank hanno trovato ulteriore conferma con l’annuncio ieri delle difficoltà a raggiungere l’utile nel bilancio corrente. Non a caso il titolo Commerzbank ieri ha perso fino al 4% del suo valore. Il principale fornitore mondiale di componenti per l’industria automobilistica, Bosch, annuncia a sua volta licenziamenti a causa della debolezza della congiuntura economica e della crisi strisciante che sta per colpire i principali costruttori tedeschi. «L’epoca delle vacche grasse sta lentamente per finire», sentenzia anche l’altrimenti ottimista ministro dell’Economia Peter Altmaier (Cdu). Dopo otto anni di crescita ininterrotta, di occupazione record e di tassi di disoccupazione ai minimi storici, la Germania inizia ad arrancare. Ma i dati sono ancora contraddittori. Il settore chimico è ancora in piena forma e quello edilizio non cresce più ai ritmi passati, ma è ancora tutto sommato stabile. —