Quarant’anni dopo, l’esponente dei Nar riconosciuto colpevole ma non di aver “attentato alla sicurezza dello Stato” Lui si è detto innocente: “Non mi pento di ciò che non ho fatto”. Il procuratore: “È l’anello mancante con le altre sentenze”
di Giuseppe Baldessarro Rosario Di Raimondo
BOLOGNA — Ergastolo. Gilberto Cavallini, 67 anni, partecipò al massacro del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna ed è stato condannato per concorso nella strage, anche se non per finalità eversive. L’ex leader dei Nuclei armati rivoluzionari diede supporto logistico per l’esecuzione dell’attentato, costato la vita a 85 persone e il ferimento di oltre 200. C’erano anche i familiari delle vittime in lacrime, ieri in tribunale, ad ascoltare la sentenza: a quarant’anni dalla bomba, a due dall’inizio di questo processo, sono serviti tre minuti, al presidente della Corte d’assise Michele Leoni, per pronunciare un altro pezzo di verità.
L’ex terrorista nero è legato all’eccidio compiuto da Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati in via definitiva. I giudici hanno accolto la tesi dell’accusa, secondo la quale l’ex Nar fornì agli esecutori materiali l’alloggio nella notte tra l’1 e il 2 agosto: nel covo attesero di entrare in azione. Fu sempre lui a fornire i documenti falsi e la macchina che portò il commando da Villorba di Treviso (in Veneto) a Bologna. Cavallini è, secondo la sentenza, il “quarto uomo” del massacro fascista. Fu parte del progetto stragista, come affermato dalla procura (l’accusa era composta dai pm Enrico Cieri, Antonello Gustapane e Antonella Scandellari), anche se nella sentenza i giudici hanno riqualificato a sorpresa il capo d’imputazione. Cavallini è stato condannato per strage (articolo 442), ma non con finalità eversive (285). La bomba non aveva l’obiettivo di «attentare alla sicurezza dello Stato». Una decisione singolare, visto che lo stesso Cavallini era già stato condannato per banda armata con finalità eversiva. Anche a Fioravanti, Mambro e Ciavardini era stato riconosciuto il movente eversivo. Il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato si è detto «gratificato» dal lavoro dei suoi pm: Cavallini «ci è parso che fosse l’anello mancante con le altre sentenze». Sia l’accusa che la difesa (gli avvocati Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni) attendono le motivazioni, che saranno depositate tra sei mesi. Nella condanna ha pesato anche la volontà dell’imputato di non rivelare alcuni nomi di persone che, teoricamente, avrebbero potuto scagionarlo. Cavallini ha sempre detto di «non volerli tirare in mezzo per cose vecchie ». L’ex Nar dovrà inoltre pagare fino a 100 mila euro per ogni persona che nella strage ha perso un parente e 15 mila per ogni ferito.
Quando il presidente della Corte ha letto la sentenza, lui aveva lasciato l’aula per rientrare a Terni, dove è detenuto in semilibertà. In mattinata si era detto «innocente». «Con la bomba noi non c’entriamo e di quello che non ho fatto non mi posso pentire». In serata ha aggiunto: «Sono molto sconfortato. Ma, da un certo punto di vista, me l’aspettavo».
Non è stato un processo semplice. Partito nel marzo del 2018, i giudici hanno sentito una cinquantina di testimoni in 45 udienze. Sono state acquisite centinaia di migliaia di pagine, una montagna di documenti e perizie. Una in particolare, usata per alimentare dubbi: nella bara di Maria Fresu, una delle vittime, non c’era il suo Dna ma quello di un’altra donna rimasta sconosciuta.
«Sono stati anni impegnativi, dolorosi, devastanti. Onore ai nostri morti, loro rappresentano il motivo per cui siamo ancora qui. Lo dovevo alle mie colleghe», ha commentato in lacrime Marina Gamberini, sopravvissuta alla strage, uno dei volti simbolo dell’eccidio, che all’epoca lavorava in un ristorante della stazione. Il presidente dell’associazione dei familiari, Paolo Bolognesi, ha atteso il verdetto fuori dall’aula. I suoi avvocati non vogliono fermarsi qui. «Adesso abbiamo questo dovere che ci muove: continuare in tempi brevi una battaglia sui mandanti – dice il legale Andrea Speranzoni, che compone il collegio difensivo con Roberto Nasci, Gianluca Alifuoco, Antonella Micele e Alessandro Forti –. Il prossimo passaggio è un pezzo di verità importantissima su chi ha finanziato, coordinato, favorito, agevolato e ottimizzato il risultato politico della strage. Si aprono squarci di verità».