Il progressive rock, generato da un’ondata di creatività alla fine degli anni Sessanta nel Regno Unito, raggiunge il suo apice negli anni Settanta affermandosi come uno dei generi più seguiti al mondo!
Una musica creata da giovani che vola verso nuovi orizzonti emotivi e tecnici, compiendo una sintesi unica tra rock, jazz, folk, musica classica e altri stili.
Nel suo periodo di massimo splendore aveva una base di fan ampia e devota e, sebbene la scena si sia in seguito frammentata, le più grandi band dell’epoca hanno goduto di un successo internazionale per tantissimi anni. Ancora oggi, le nuove generazioni continuano a scoprire i suoni unici del progressive rock e a riprodurli.
Esaminando i miti, le leggende, le mille opinioni che circondano il genere, Mike Barnes analizza, con stile accattivante e divertente, le condizioni e gli atteggiamenti culturali che hanno alimentato e sono stati a loro volta influenzati da questo straordinario fenomeno musicale, fornendo un’immagine vivida e colorata degli anni Settanta. Un racconto che delinea la storia e le musiche di band come Genesis, Jethro Tull, Pink Floyd, King Crimson, Yes e di personaggi del calibro di Mike Oldfield, non limitandosi solo ai nomi più conosciuti, ma approfondendo anche quelli meno noti come Egg, Henry Cow, Curved Air e molti altri.
Un libro documentato e ricco di testimonianze di prima mano di musicisti, protagonisti del music business, addetti ai lavori, giornalisti, DJ, e persino di alcuni fan!
“Quando il prog rock era agli inizi non c’erano
molte differenze tra un tipo di musica e l’altro.
Finivi nel mucchio insieme a chiunque altro, dai Pink Floyd
fino agli Hawkwind passando per i Free.
Non esisteva nessuna categoria, non esisteva nemmeno il prog.
C’eravamo dentro tutti insieme”.
– Mike Oldfield –
“Il prog è tutta questione di influenze che si mescolano
tra loro in modo indescrivibile – il folk, il blues, il rock, il jazz,
la classica, nel mio caso persino il flamenco –
ma senza mai dominare le une sulle altre”.
– Steve Howe –
“I giovani si chiedono di cosa hanno bisogno, cosa conta davvero.
Ecco, a quel tempo la risposta era ‘la musica’.
Se volevi cambiare il mondo dovevi fare rock. Era così che la vedevamo.
Ed era vero: la musica cambiò il mondo di un’intera generazione.
Io sono apolitico, ma nel 1969 essere a tutti gli effetti un capellone
che suonava rock era di per sé una dichiarazione politica”.
– Robert Fripp –