di Pierluigi Piccini
Le vicende di Siena degli ultimi anni legate alla crisi del Monte e i governi cittadini che si sono succeduti compreso l’ultimo hanno inciso sulla dimensione dei rapporti sociali? E se sì, in che modo? Hanno cambiato quel blocco sociale caratteristico della città che le forze politiche e quelle economiche avevano messo in piedi? Erano alleanze basate soprattutto sul ruolo preponderante, se non esclusivo, dei ceti medi ai quali era stata assicurata una distribuzione della ricchezza diffusa, con l’aggiunta di alcune punte di eccellenza soprattutto nel mondo accademico, sanitario e delle professioni. Tuttavia questi ceti medi non si sono mai configurati come una vera e propria borghesia, ovvero di una classe sociale fondamentale, anche solo per il reddito che la caratterizza: la sua assenza è costata e tanto costa in termini di innovazione e sviluppo del territorio. Di conseguenza, emergono questi tratti sociali: conservatorismo, invidie, mancanza di visione di insieme o di una strategia, scambi e frammentazione dei centri di potere, fini personali. Ricorda molto la Siena di Tozzi e del conflitto che si generò fra proprietà agricola e mezzadria: la ristrettezza delle proprietà e i contrasti generati per la ripartizione degli scarsi proventi hanno molto di simile con quello che è avvenuto successivamente, matrice di una mentalità dura a morire. Ma torniamo a noi. Il blocco sociale costruito dalla Sinistra con la complicità delle altre forze politiche ha retto per molti anni con fasi alterne fino alla fine degli anni dieci del Duemila. Ci sono state delle parentesi in questo periodo, ma subito esorcizzate e messe a tacere. Gli attori principali del baratto sociale hanno accettato di tutto sotto l’egemonia e la forza del capitale finanziario (rendita parassitaria per eccellenza). Poi? Tali modelli continuano a determinare le sorti cittadine? Solo in parte: non esistono mai situazioni nette. È chiaro che l’aver puntato su poche alternative economiche, su un modello che fa del commercio e del turismo l’asset dello sviluppo principali ha permesso ad alcuni soggetti di entrare prepotentemente in scena, complici alcuni apparati intermedi che hanno fatto diventare nel tempo la rendita di posizione e lo scambio politico la propria missione. Ma in questo modo si è abbandonata la contrattazione, negando l’elemento dialettico che assicura dinamismo e garanzia democratica. Invece, i provvedimenti annunciati e presi da questa amministrazione fanno riferimento all’autoreferenzialità più assoluta. Mi riferisco solo agli ultimi tre: blocco delle licenze, Piano operativo (urbanistica), Piano della mobilità e della sosta. Il blocco delle licenze è chiaramente un intervento protezionistico che, in presenza di una crisi economica come quella che stiamo vivendo va a premiare qualcuno e a penalizzare altri, dando addio alla qualità generata dalla concorrenza. Peggio ancora: la qualità e la capacità di attrarre sarà solo per chi potrà fare investimenti in luoghi di pregio, e così chi è già solido uscirà da questo periodo ancora più forte. Si tratta di una scelta che crea privilegi, diseguaglianze sociali ed economiche non di poco conto, con l’aggravante di liberalizzare nel centro storico le superfici di vendita di medie dimensioni. Qui possono essere collocati servizi di privati, ma è anche verrò che la somministrazione non è esclusa, altra diseguaglianza fra chi potrà e chi sarà costretto a vendere in un regime di monopolio che non farà crescere i valori. Anzi, l’effetto che si otterrà sarà di far impennare il prezzo degli affitti (super rendita di posizione).
Il Piano operativo si caratterizza per un incremento della rendita fondiaria a scapito della qualità ambientale e sociale. Non si usa la pianificazione urbanistica come riequilibrio sociale, e il tema del Pubblico (Giovanni Maria Flick) come elemento ammortizzatore delle disuguaglianze sociali non viene neppure annunciato. Il tutto si riduce ad una lista di autorizzazioni. Il Piano della mobilità non avrà grandi ricadute nel breve ed è di difficile applicazione, in quanto comporta importanti investimenti che al momento non è neppure possibile pensare, come la galleria di Pescaia (errore strategico) e la metropolitana leggera. Non affronto neppure la questione dei beni culturali, che sono diventati il massimo della rendita di posizione in presenza di una crisi del comparto turistico e in assenza di qualsiasi strategia.
Tirando le somme, il blocco sociale conservatore e non dinamico si è ristretto creando ulteriori disuguaglianze, ha visto l’entrata di nuovi soggetti che influenzano pesantemente le scelte amministrative nel consolidamento assoluto delle rendite parassitarie. In questa situazione, e senza alleanze strategiche a livello locale e oltre (tranne Panama, l’Olanda e la Cina), questo territorio è condannato a una lenta, ma costante marginalizzazione. E per favore non venite poi a chiedere “ma voi cosa fareste?”, perché le nostre proposte sono continue e affondano nel cuore del problema per la costruzione di alleanze sociali dinamiche. La cosa non è facile ma va tentata come è stato fatto in un per periodo, purtroppo breve, alcuni anni fa. Come se non bastasse, l’attuale situazione è condita da uno strato ideologico populista, che tanto sta facendo male anche alla Festa per eccellenza di Siena. Ma questo non è da ora.