Siena trova l’intesa sul Monte E la Fondazione apre i rubinetti

Documento unitario del Consiglio comunale. Rossi: erogazioni aumentate del 50%

Aldo Tani

 

Siena Per il suo operato è stato chiamato a rendere conto a Siena. Regista dell’accordo transattivo tra Banca e Fondazione Mps, condizione necessaria per la mossa di Unicredit su Rocca Salimbeni. Definito un successo in prima battuta e un mezzo fiasco successivamente, quando una certa politica si è accorta che la campagna elettorale era alle porte. Carlo Rossi, presidente dell’ente di Palazzo Sansedoni, voltandosi indietro, non si scompone più di tanto: «Si poteva ottenere di più? Penso di sì, ma quello che è sicuro è che si poteva ottenere anche di meno». I 150 milioni di euro pattuiti con Banca Mps dovrebbero arrivare entro il 31 ottobre e nel pacchetto sono inseriti anche la gestione di circa 30 mila opere della Banca per finalità promozionali e mostre e uno sconto del 10% in caso di vendita degli immobili della sede storica dell’istituto di credito senese. Quello che però per Rossi conta di più è la possibilità, grazie alle risorse in entrata, di incrementare la base patrimoniale della Fondazione: «La transazione con Mps ci consentirà di portare il patrimonio a oltre 600 milioni di euro, che porterà a una possibilità di erogazione al territorio dell’1,2% del patrimonio, circa 7,5 milioni di euro. Un aumento del 50% rispetto alle erogazioni di qualche anno fa che si attestavano sui 5 milioni». Cifre messe nero su bianco nel documento programmatico, vagliato ieri mattina dalla Deputazione generale.

Se con lo 0,003% delle quote il ruolo della Fondazione all’interno del capitale azionario del Monte è poco più che simbolico, Rossi, soffermandosi sulla trattativa tra Governo e Unicredit, non può fare a meno di definirla «un’operazione che rischia di essere esosa, perché le condizioni le detta il compratore e in maniera piuttosto pesante». Una piccola parte del problema secondo il presidente, perché guardando alla realtà territoriale, il quadro è a tinte ancora più fosche: «Due cose mi preoccupano più di tutte: l’aspetto dell’indotto riguardante tutte le aziende che lavorano con la banca, e quello della direzione generale, perché ci lavorano fior fiore di persone molto preparate che potrebbero avere percorsi di carriera anche più interessanti in altre banche, ma all’estero. Una condizione che impoverirebbe il territorio».

Situazione analizzata a lungo anche all’interno del Consiglio comunale monotematico, chiamato a esprimersi proprio su Mps. A differenza di quanto avvenuto in passato, questa volta i consiglieri sono riusciti a esprimersi con una sola voce. Non è stato semplice, tra strappi politici, confronti dai toni bellicosi e posizione consolidate. Difficile comprendere l’onda lunga di questo risultato, perché se questo mese ha insegnato qualcosa, è la scarsa empatia del governo Draghi sulla vicenda senese del monte. Una delle poche chiavi di volta è racchiusa nei termini posti da Unicredit per dire sì. «Il paradosso è che il rialzo lo fa l’acquirente», ha sottolineato il sindaco Luigi De Mossi, che ha aggiunto: «A me non fa paura che la banca vada in mano ai fondi d’investimento. Ho paura che il 5 ottobre, dopo le elezioni, qualcuno si svegli e ci dica che i giochi sono già stati fatti». E rien ne va plus.

 

 

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