Dopo la riunione, tremebondo, salutai Moravia e Pasolini e accompagnai Enzo a casa sua, in via Brunetti, una traversa di via Ripetta. Prendemmo l’ascensore esterno al palazzo, accanto a una splendida buganvillea che ornava l’intera parete. Conobbi sua moglie Flaminia, detta Flam, alta, magra, floreale. Enzo mi firmò il suo pamphlet Prima della poesia, uscito nel 1965. Lo lessi come un retour à l’ordre alla Cocteau. Era il ritrovamento della letteratura come espressione, alla Benedetto Croce, contro la neoavanguardia del Gruppo ’63, che la letteratura l’avrebbe voluta abbassare al grado zero. In questo era in perfetta sintonia con Pasolini e Moravia. Io invece mi barcamenavo tra Nuovi Argomenti e una rivista sperimentale come Carte segrete, di cui ero redattore. Avevo chiesto provocatoriamente la tesi sulla metaletteratura italiana ad Alberto Asor Rosa.

Nel 1970, cinquant’anni fa, uscì Autobiografia letteraria, che a rileggerlo oggi è forse il libro migliore di Enzo Siciliano. Se Francesco De Sanctis chiedeva all’opera: “vi è l’uomo?”, Siciliano domandava: “C’è la persona?” cercando di scoprire il gusto dello scrittore, la sua esistenza. Di una generazione più vecchia di sei anni, Cesare Garboli, aveva esordito nel 1969 con La stanza separata. Erano i due nuovi critici di successo al di fuori delle avanguardie. Avevano in comune l’idea del critico “autobiografico” e narrativo, come il non amato Barthes che, recuperando l’inviso autore, nella seconda parte della sua vita, aveva scoperto che quella del critico e quella dello scrittore è écriture autobiografica, la stessa.

La parola “espressione” era quella più ricorrente nel suo dotto eloquio. L’altra era “coscienza” che proveniva dai suoi studi filosofici (si era laureato su Wittgenstein). In Romanzo e destini del 1992 denunciò l’aggressione a Bassani e la successiva estromissione dalla Feltrinelli degli avanguardisti, un libro dedicato all’ultima generazione di scrittori, la mia. Il romanzo La principessa e l’antiquario e il memoir Campo de’ fiori sono citati come le cose migliori della sua narrativa, soprattutto il secondo. A me piacque anche la biografia di Puccini e l’antologia del racconto italiano del Novecento in due fittissimi Meridiani.

Ricordo con piacere quando andavo a trovarlo d’estate al Vertano, in Umbria. Dopo ore di lettura Enzo si esibiva come cantante lirico. Era con sua madre, Flam e i suoi due cuccioli, Francesco e Bernardo. Mi raccomandava nella scrittura “la distanza”, credendomi affogato nella cultura sessantottina, che a lui sembrava una continuazione della neoavanguardia, quando invece il Gruppo 63 fu affossato proprio dal Sessantotto.

A volte facendo il mediatore tra Pasolini, la Morante e Moravia finiva bacchettato proprio da Pasolini, che aveva trovato il titolo del suo libro d’esordio, Racconti ambigui. Mi commossi quando al mio matrimonio insieme a Moravia mi regalarono una Olivetti di buon augurio. Dopo i funerali di Moravia ci vedemmo sempre meno. Tutti quei giovani che lanciò e che si impossessarono di Nuovi Argomenti sembrano essersi dimenticati di Moravia e di Siciliano, il quale morì il 14 giugno 2006 a 72 anni nella clinica romana di Villa Mafalda. Ricordo che, saputa la notizia, corsi trafelato a piedi da San Lorenzo. Sulla bara aperta Enzo aveva preso le sembianze di un principe arabo.

Flaminia Siciliano è venuta a vivere nel mio quartiere. Ci incontriamo di tanto in tanto accanto al mercato. La aggiorno sugli articoli che sempre più di rado, per la verità, escono sull’uomo che ha così tanto amato.