Arturo Pérez-Reverte è tra i più noti romanzieri spagnoli al mondo: in Italia i suoi libri sono stampati da Tropea, Salani e Rizzoli; Solferino ha da poco pubblicato Occhi azzurri. Di norma, scrive romanzi storici, spesso tradotti al cinema (Il club Dumas, per dire, è diventato La nona porta, film girato da Roman Polanski); quest’anno compie settant’anni. L’ultimo romanzo di Pérez-Reverte si chiama El italiano, è presentato come “una historia de amor, mar y guerra”, in copertina c’è un militare della X Flottiglia MAS.Il contesto, infatti, è lo stretto di Gibilterra, dove, tra il 1942 e il 1943, i temibili sommozzatori della X, usando come base la Olterra, nave da carico della Regia Marina attraccata ad Algeciras, compirono diverse azioni di sabotaggio. In una lunga intervista rilasciata a “El País”, Pérez-Reverte ha detto che il suo libro “è un atto di giustizia per ridare dignità ai militari della X Mas e ai soldati italiani della Seconda guerra, così dileggiati, soprattutto dagli inglesi”. L’idea del romanzo, ha detto lo scrittore, affonda negli anni dell’infanzia: “Nel 1961 mio padre mi portò a vedere I due nemici, il film di Guy Hamilton con David Niven e Alberto Sordi. Usciti dalla sala mi disse, un po’ contrariato, ‘Il film non è esatto, gli italiani hanno compiuto gesti di grande coraggio’. E mi raccontò della X Mas”. Il romanzo è stato pubblicato con una tiratura iniziale di 180mila copie, si dice che ne faranno un film; il ritmo, va da sé, è quello del libro che deve avvincere più che convincere, che trascina con la rapidità narrativa più che con il rigore storico. Ecco un passaggio:
“Il cane lo scoprì per primo. Corse verso la riva, annusò; scodinzolava e ringhiava, basso, presso quel fagotto nero, tra la sabbia e l’acqua, limpida, che rifletteva le prime luci del giorno. Il sole non superava ancora l’ombra cruda della Rocca, la proiettava sulla baia, silenziosa e immobile come uno specchio, punteggiata di navi, la cui prua mirava a sud. Il cielo era azzurro, senza nuvole, scalfito da una striscia di fumo che si levava dall’imboccatura del porto dove una nave, colpita nella notte da un sottomarino o da un raid aereo, aveva bruciato per tutta la mattina. Argo… Vieni! Era un uomo. Si fermò. Il cane correva verso di lei, poi tornava da quel grumo nero, come se la invitasse a gioire di quel ritrovamento. Un uomo. Con una muta nera, lucida, bagnata. Riverso a faccia in giù, sulla riva… Decise di aiutarlo prima di avvisare le autorità. Quella determinazione avrebbe cambiato la sua vita”.
Nel romanzo, che si svolge su più piani temporali (dopo questa scena siamo in una libreria, nel 1981) Pérez-Reverte mette in scena due personaggi, militari della X Mas: uno, monarchico, si affianca agli Alleati dopo l’armistizio; l’altro, fascista, aderisce alla RSI. “Non nego ai miei eroi il loro lato oscuro. Tutti gli eroi sono ambigui. Chi non lo capisce, vada al diavolo”, taglia corto il romanziere. “La tendenza odierna nel non riconoscere il valore dei propri nemici mi pare terribile. Posso riconoscere che Franco è stato un comandante coraggioso: ciò non significa che io sia franchista o che assolva Franco dall’essere un sinistro dittatore”. Il romanzo, per sua natura, scava nella contraddizione; viene fuori una idea dell’italiano diversa da quella della vulgata: patriottico, impavido, determinato. “L’avventura dei sommozzatori italiani dimostra il trionfo dell’individuo contro la macchina, contro l’apparato militare. Erano in grado di compiere azioni inimmaginabili per gli inglesi”. Il romanzo sarà tradotto in Italia il prossimo anno; “amo i personaggi ambigui piuttosto che quelli tutti d’un pezzo, abbastanza noiosi”.
La frase di Pérez-Reverte potrebbe essere sottoscritta da Maurizio Serra, che sugli “artisti che hanno vissuto le contraddizioni della letteratura nella Storia” ha incardinato un pensiero – L’esteta armato, 19910; 2015 – e ha fondato un genere, occupandosi, negli anni, di Marinetti (2008), Guido Piovene (2009), Curzio Malaparte (2012; 2021), Italo Svevo (2017), Gabriele D’Annunzio (2019). Diplomatico, già ambasciatore all’Onu e all’Unesco, “Immortale” di Francia dall’anno scorso, Serra ha pubblicato in Francia, per Perrin, Le mystère Mussolini, “non una biografia in senso stretto né una storia del fascismo italiano ma il primo tentativo – non solo in Francia – di tentare di svelare il mistero di un personaggio che non assomiglia ad alcun dittatore,di destra o di sinistra, del XX secolo, ma che in un certo senso, da Lenin a Castro, li riassume tutti” (così Serra nella nota che descrive il tomo). Il libro sarà tradotto in Italia da Neri Pozzi, l’edizione francese ‘misura’ 500 pagine, ne hanno parlato un po’ tutti: “L’Express” ha scritto che “il cadavere del Duce si muove ancora”, “Le Figaro” ha dedicato un servizio a L’insaisissable Benito Mussolini: Cesar de carnaval ou Duce?, o meglio, a ciò che del Mascelluto resta “enigmatico, perennemente sfuggente”. Nel saggio introduttivo, Derrière le masque, così scrive Serra:
“Benito Mussolini (1883-1945) ha mentito di continuo, dall’inizio alla fine della sua vita, a volte senza rendersene conto. Il carisma della dissimulazione permanente non gli derivava da una tara del carattere, da un approccio ‘fiorentino’ alla prassi politica, né dai riflessi da antico cospiratore, quanto piuttosto da un sovrano disprezzo verso gli uomini, tutti intercambiabili ai suoi occhi, che fossero alleati o nemici, complici rivelatosi avversari o viceversa, poco importa: pedine insignificanti, destinate a crollare, meri pezzi di una partita a scacchi a cui ha consacrato risorse ed energie, fino a sprofondare nell’abisso che si è spalancato davanti a lui. Da più di vent’anni era accerchiato dall’adulazione, servile, certo, ma più spesso, nei tempi buoni, spontanea; ne godeva, ma senza prestarvi fede”.
Sia gloria al mondo editoriale francese e a quello spagnolo. In Italia, la parola fascista è usata per definire pressoché ogni lato – per lo più infame – dell’essere umano: è gridata con sentimento, senza fondamento. Se si scrive un romanzo sul Fascismo – Antonio Scurati, per dire – occorre dichiararsi antifascisti ad ogni intervista, ed essere narrativamente poco dotati. Pieni di livori e di torbidi timori non abbiamo la spavalderia di rileggere la nostra Storia recente, quella da cui dipendiamo (l’Italia è questa, oggi, perché la Seconda guerra è andata come è andata); non la investighiamo sfacciatamente, non la sputtaniamo: decoriamo la cronaca con i centrini. Eppure, documentari più o meno documentati e libri più o meno leggibili ruotano tutti lì, intorno al corpo ustionante del Duce. Siamo ancora tutti fascisti.