Serve un nuovo patto sociale

Allarme inflazione e salari

 

di Maurizio Del Conte

 

Comunque andrà la campagna militare sul campo, i riflessi sulla nostra economia della guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina saranno pesanti e duraturi. Abbiamo appena girato la boa di due anni orribili. Il Paese ha saputo rispondere con forza e unità agli stravolgimenti imposti dalla pandemia. Famiglie e imprese sono state sostenute con un impegno di risorse pubbliche senza precedenti. Gli italiani hanno dato una dimostrazione non scontata di compattezza sociale. La campagna vaccinale ha visto una larghissima adesione, nella prevalente consapevolezza della sua utilità. Stavano, finalmente, consolidandosi i segnali di una promettente ripresa della economia e del lavoro. Ma l’invasione russa nel cuore dell’Europa ha inferto un colpo durissimo alle prospettive di rilancio del Paese.

La reazione a questa guerra rischia di essere molto meno composta e solidale di quella che abbiamo saputo offrire di fronte all’emergenza causata dalla pandemia. Per sua natura ogni evento bellico è divisivo. Se la prima reazione è stata caratterizzata dalla solidarietà verso una piccola nazione aggredita da una superpotenza guidata da un oligarca spietato, non si possono trascurare i segnali che stanno emergendo dal dibattito pubblico. Le ripercussioni della guerra sui bilanci delle famiglie fanno crescere la preoccupazione per il futuro. Il rifiuto della guerra si sta trasformando in una opzione politica di disimpegno che, prima o poi, finirà per scontrarsi con la linea della fermezza che impone un crescente sacrificio dei nostri abituali standard di vita. Riemerge quella particolare declinazione di pacifismo che nel secolo scorso, in piena guerra fredda, si era spinta a teorizzare il disarmo unilaterale.

Il sindacato, che nel periodo della emergenza sanitaria ha giocato un ruolo importantissimo — per quanto sottovalutato — nell’accompagnare le misure governative, potrebbe ora essere indotto ad abbandonare la linea della responsabilità, se questa dovesse comportare una significativa crepa nella sua base di consenso. Il fronte più a rischio è quello degli assetti negoziali e, quindi, della pace sindacale. I contratti collettivi nazionali oggi in vigore, molti dei quali da poco rinnovati, sono stati siglati sul presupposto di una bassa inflazione, recuperata ex post facendo riferimento all’indicatore l’Ipca che, però, esclude l’effetto dei costi dei prodotti energetici importati. Finora è stato possibile evitare il ritorno a meccanismi di recupero automatico che innescherebbero una pericolosa spirale dei prezzi. Ma se l’inflazione si attesterà su valori tra il 6 e il 7 per cento annuo, già a partire dal prossimo autunno l’erosione del valore reale dei salari potrebbe accendere le polveri. Occorre dunque che il governo assuma l’iniziativa prima di trovarsi a dover gestire una emergenza sociale.

L’esempio

Per affrontare la situazione attuale, una lezione utile

si può trarre dall’esperienza

del governo Ciampi nel 1993

Una lezione utile che si può trarre dalla storia ci viene dall’esperienza del governo Ciampi che nel 1993, a fronte della sfida epocale imposta dall’ingresso nella moneta unica europea, chiamò sindacati e rappresentanze del mondo produttivo a stringere un nuovo patto sociale. Oggi, come allora, si pone l’urgenza di ridefinire le regole delle relazioni sindacali e condividere un nuovo modello di gestione contrattuale delle dinamiche salariali. Per evitare pericolosi automatismi tra inflazione e salari occorre introdurre un controllo contrattuale sui meccanismi di recupero ex post. Questi meccanismi, che già sono presenti in molti contratti collettivi, devono essere aggiornati, perché un conto è bloccare gli aumenti salariali per l’intera durata del contratto collettivo in condizioni di inflazione prossima a zero, ma molto diversa è la situazione quando, tra un rinnovo contrattuale e l’altro, l’inflazione si porta via il 15 per cento del potere d’acquisto. Una soluzione di mediazione potrebbe essere quella di introdurre una componente che anticipi nelle retribuzioni una quota parte dell’inflazione programmata, rinviando al momento del rinnovo la verifica del differenziale tra il dato previsto e quello reale.

Solo le parti collettive possono efficacemente individuare il punto di equilibrio sostenibile in questo difficile compromesso tra aumento dei costi per le imprese e sostegno dei salari. Ma il governo può giocare un ruolo importante. Ad esempio, estendendo agli incrementi salariali i benefici fiscali oggi già previsti per gli aumenti contrattuali legati alla produttività e alle misure di welfare aziendale. Ma per stringere un nuovo patto tra le parti sociali è necessario avere chiarezza e trasparenza sulla loro effettiva rappresentatività. Da decenni si discute, senza alcun esito, sull’introduzione per legge di un sistema di verifica della rappresentanza sindacale. Non è questo il momento di forzare i delicati assetti delle relazioni industriali, ma il governo — ancora riprendendo lo spirito dell’accordo del 1993 — potrebbe approfittare di questa occasione per farsi garante di quel complesso di regole sulla rappresentanza che sono già state formalizzate in accordi interconfederali, mettendo a disposizione le strutture amministrative idonee a validare i dati e ad accertare i pesi effettivi dei sindacati e delle organizzazioni delle imprese.

https://www.corriere.it/