Scuola a rischio buco: 13mila lavoratori positivi al sierologico

L’anno scolastico potrebbe iniziare senza 13 mila fra insegnanti e personale non docente. Tanti sono infatti i dipendenti del settore risultati positivo ai test sierologici fin qui effettuati nelle regioni. Circa il 2,6% delle 500 mila persone già testate, quasi il 50% di chi lavora nella scuola.I dati, diffusi ieri sera dal Tg1, sono stati forniti dall’ufficio del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri. La positività al test sierologico non significa essere portatori del virus, ma “solo” averlo contratto in precedenza. I 13 mila ora dovranno osservare un periodo di isolamento in attesa dell’esito del tampone. Chi risulterà negativo prima di lunedì potrà tornare al lavoro. Il dato diffuso non tiene conto dei 200 mila tra docenti e non docenti del Lazio, che opera in maniera autonoma. La regione più virtuosa è la Lombardia, con il 70% di test effettuati; ultima la Sardegna con il 5%. Entro il 24 settembre si deve arrivare al 60-70%.

Intanto si lavora a un piano in vista della riapertura. Si punterà soprattutto su screening di massa con “laboratori mobili”. Quindi tamponi rapidi antigenici, test molecolari rapidi e, da fine settembre, anche i test salivari. Si parte da Lazio e Veneto: se funziona, il modello si allarga in tutta Italia. “Una batteria formidabile” si è lasciato scappare con un certo ottimismo, uno dei partecipanti all’incontro fra i responsabili delle unità di crisi delle due regioni, distanti politicamente, ma vicine nella battaglia al contenimento del Covid. I tecnici si sono riuniti ieri a Padova per definire la strategia da applicare in vista del ritorno in classe, lunedì. Fra i partecipanti, per il Veneto, l’ordinario di Immunologia dell’Università di Padova (e consulente del governo), Andrea Crisanti, il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, e il direttore regionale salute, Renato Botti.

L’obiettivo? Sommare diverse tecniche di screening, dal test sierologico fino al tampone classico in laboratorio. Come raccontato dal Fatto nei giorni scorsi, una relazione riservata dell’Istituto Spallanzani di Roma pone tanti dubbi sull’attendibilità dei test rapidi effettuati, ad esempio, nell’aeroporto Fiumicino sui vacanzieri di ritorno dalle mete a rischio, col 18% dei tamponi negativi che, alla controprova, erano in realtà positivi.

In generale, le regioni hanno già predisposto le indicazioni operative per la gestione dei casi sospetti. Tutte sono allineate alle linee guida dell’Istituto superiore di sanità, contenute in un rapporto messo a punto insieme ai ministeri della Salute e dell’Istruzione, all’Inail, alla Fondazione Bruno Kessler, alle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna. Si prevede per prima cosa l’identificazione in ogni scuola di un referente Covid, con il coinvolgimento di pediatri e medici di famiglia, dei genitori, dei dipartimenti di Prevenzione. Nel caso in cui un alunno abbia una temperatura corporea superiore a 37.5° o un sintomo riconducibile al Covid, dovrà intervenire subito il referente scolastico. L’alunno dovrà essere collocato in un’area apposita, individuata dall’istituto, in compagnia di un adulto protetto da mascherina, indossata anche dal bambino se di età superiore ai 6 anni (ma solo se la tollera). L’alunno, se positivo, potrà rientrare a scuola dopo due tamponi negativi. Mentre il dipartimento di prevenzione dovrà avviare la sanificazione straordinaria della scuola, ponendo in quarantena coloro che sono entrati in contatto stretto con il ragazzo.

 

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