Minimizza, tratta il caso Grecia quasi con fastidio, come un problema di secondo piano, «il terrorismo mi preoccupa di più», anche perché «appena finiremo di parlare» di Atene «potremo ricominciare a parlare di economia europea, di quale visione immaginiamo per il futuro». E questo «con tutto il bene che voglio agli amici greci, ma anche loro devono rispettare le regole e invece la vicenda rischia di diventare una telenovela, anche se spero con happy ending». Del resto «non c’è solo l’Iva delle isole greche, ci sono anche altri 27 Paesi e la necessità di discutere del modello di sviluppo europeo dei prossimi 15 anni». Tra i temi centrali del dibattito europeo anche quelli del terrorismo e dei migranti, di cui parlerà in tarda serata (con accenni anche alla crisi greca) in una telefonata con il presidente Usa Barack Obama.
La giornata berlinese di Matteo Renzi comincia nel tempio della cultura tedesca, all’Università Humboldt, dove nella galleria dei premi Nobel, da Einstein a Mommsen, «mi è quasi venuto meno il terreno sotto i piedi»; e termina alla cancelleria, in una conferenza stampa con Angela Merkel che elogia l’Italia per le riforme «di grande rilievo» e che ribadisce la linea dura su Atene, cui Renzi sostanzialmente si allinea, tranne che per alcune sfumature di distacco: «Non metto bocca sulla scelta del referendum, che è stata sorprendente, che giudico un azzardo, ma è la democrazia ed è diritto di ogni Stato sovrano prendere le sue decisioni». Con la Merkel il presidente del Consiglio ostenta una sintonia quasi assoluta, «possiamo anche pensarla diversamente su molte cose, ma il bello della Ue è che alla fine sulle questioni importanti si fa fronte comune», e questo vale sulla Grecia come su altri casi, viceversa, e qui sembra alludere a Tsipras, «se ognuno fa come vuole non si va da nessuna parte». Insomma non c’è solo la Grecia, e «francamente sui conti pubblici italiani può avere più effetti una sentenza della Corte costituzionale», come se un eventuale default di Atene venga considerato, almeno finanziariamente, un problema relativo. Di certo è il discorso alla Humboldt, che ha in parte scritto, quello a cui Renzi tiene di più. L’aula magna è gremita, anche di studenti italiani che studiano qui, e le parole del premier hanno l’enfasi delle grandi occasioni, del resto «vorrei quasi inchinarmi di fronte alla storia di questa università». E se lui è rimasto impressionato dalla galleria dei laureati celebri, c’è anche la voglia di impressionare la platea tedesca, fatta di imprenditori, professori, dell’intellighentia di questa città: «Più di 20 anni fa avete abbattuto un muro e io avevo 14 anni, fu uno degli attimi in cui la Storia fa gli straordinari, ma oggi mi si stringe il cuore perché stiamo costruendo un altro muro, quello dei decimali e delle regole di bilancio, e i muri finiscono non solo per separare i popoli ma anche per intrappolarli».
Agli studenti consegna questo messaggio: «Non dovete avere paura dell’Europa e non cercatela nelle istituzioni di Bruxelles, e nemmeno nei partiti, che oggi sono vuoti simulacri, e nemmeno nelle cancellerie, cercatela negli studi, nella storia, nei corsi che frequentate, oggi la parola che manca ad un’Europa impigrita e impaurita è coraggio. Ed un’altra parola che latita è identità, dobbiamo riscoprirla, anche in Italia, dove per troppo tempo è stata considerata un tabù, quasi fascista, troppo di destra, ma senza identità non andiamo da nessuna parte, dobbiamo riscoprire la nostra identità di cittadini europei, che non sono solo dei codici fiscali. Noi siamo la generazione dei figli di Adenauer e di De Gasperi, ma dobbiamo ancora meritarci quell’eredità, forse oggi i padri fondatori se guardano gli egoismi diffusi si domandano se ne valeva la pena».
Insomma «quando l’Europa tornerà un sogno allora la nostra battaglia sarà vinta, per ora mi ricorda la battuta del film di Robert Zemeckis, “Ritorno al Futuro” : uno dei personaggi bussava alla testa del protagonista, gli diceva “hey McFly c’è qualcosa dentro la tua testa?”; ecco, mi fa pensare alla testa dei leader attuali di Bruxelles». Quegli stessi leader, e qui la citazione indiretta sembra coinvolgere per primo Jean-Claude Juncker, che «avrebbero fatto meglio a non esprimersi, sulla Grecia, in questi giorni». Il senso: rischiano di fare il gioco, azzardato, di Tsipras.
Marco Galluzzo