di Stefano Montefiori
«Lo status quo è finito. Lo status quo significherebbe lo smantellamento progressivo, lento e doloroso della zona euro. Allora dobbiamo passare a una nuova tappa, recuperare una visione politica per l’Europa. Il momento è grave, storico. Bisogna agire, per gradi ma a cominciare da adesso, verso un’integrazione più profonda della zona euro, di alcuni Paesi almeno, con più solidarietà e con dei dispositivi di redistribuzione».
Il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, trae le conseguenze di un’evidenza — l’Ue come l’abbiamo conosciuta non funziona più — e ha il coraggio di proporre una soluzione. Nei giorni dello sbandamento politico, economico, ideale della Ue, la sua è una iniziativa preziosa.
A Aix-en-Provence per la giornata conclusiva del convegno «Rencontres Économiques», in attesa che la Francia prenda una posizione ufficiale post-referendum con un intervento del presidente della Repubblica François Hollande, il ministro torna sul suo progetto di riforma dell’Ue — messo a punto a inizio giugno con il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel — e spiega al Corriere perché con il precipitare della crisi greca quell’iniziativa diventa ancora più urgente. Macron parte dall’ambiguità di fondo sulla quale è stata costruita la zona euro: non era perfetta, ma si sperava che migliorasse grazie alla regole. Non è successo, le regole non bastano da sole a condurre una politica macroeconomica efficace, «ci abbiamo provato per tre anni e non è stato sufficiente. Bisogna riconoscerlo, e pensare a delle nuove strutture».
Ovvero, un Parlamento della zona euro che legittimi democraticamente un bilancio della zona euro, e un eurocommissario che coordini le politiche economiche. Un budget della zona euro avrebbe conseguenze politiche enormi: «Quel che succede oggi in Grecia è allo stesso tempo il prodotto di una mancanza di responsabilità e di solidarietà. Dobbiamo allora accettare il principio di trasferimenti da un Paese all’altro, ridistribuire risorse verso le regioni che ne hanno più bisogno: a beneficio di tutta la zona euro, Francia compresa».
In pratica, Macron propone di entrare nella logica redistributiva propria degli Stati nazionali: al netto di mugugni e movimenti regionalisti, per fare degli esempi, oggi un italiano del Nord è solidale con il Sud, e i parigini aiutano di fatto la provincia meridionale dell’Hérault. «Questo meccanismo che opera all’interno dei Paesi membri deve essere applicato a livello europeo, in una nuova zona euro più integrata», dice Macron. È un approccio da vera unione politica, dove potrà accadere che gli italiani offrano risorse ai baltici, o i francesi ai greci. «Questi trasferimenti sono la chiave della solidarietà all’interno di una zona politica».
Si arriva allora, inevitabilmente, alla questione dei debiti. «Dovremo fare convergere anche le nostre regole sui debiti. E cioè pensare a un quadro legale di ristrutturazione. Il caso della Grecia è esemplare: non possiamo chiedere loro di riparare gli errori del passato per l’eternità. Se non ristrutturiamo il debito i greci non avranno ossigeno». Il ministro Macron aggiunge che la ripresa dei negoziati politici con la Grecia è necessaria, inevitabile. «La nostra responsabilità sarà di non fare il Trattato di Versailles della zona euro. Non riesco ad abituarmi al cinismo dei dirigenti greci che hanno posto nel referendum una domanda già orientata, e neanche al populismo di alcuni che, spinti dalla loro opinione pubblica, spacciano l’uscita della Grecia dalla zona euro come la soluzione dei nostri problemi». All’indomani della Prima guerra mondiale, i vincitori — tra cui la Francia — imposero ai tedeschi sconfitti un trattato di Versailles durissimo, che contribuì poi all’avvento del nazismo. Macron vuole uscire da quello schema vincitori-vinti. Se Atene esce dall’euro, tutta l’Europa avrà perso .
La nuova zona euro potrebbe nascere senza toccare i trattati, e coinvolgere gli Stati che ci stanno, magari il nucleo storico dei Paesi fondatori. Non bisogna però precludersi lo sforzo intellettuale di pensare in futuro ad altri sviluppi, ancora più impegnativi, anche se dovessero comportare la rinegoziazione dei trattati. Ora è meglio non toccarli perché si aprirebbe un processo lungo anni, e invece bisogna intervenire subito, ma non esistono tabù. Il giorno dopo il referendum greco, l’Europa è chiamata a rimettersi in cammino. «Può apparire paradossale, ma proprio ora bisogna agire per un rilancio dell’integrazione, dobbiamo spiegarlo ai nostri popoli. Gli strumenti tecnici sono necessari, ma non sufficienti. È il momento di elaborare una visione, un’ambizione politica. Altrimenti non andremo lontano» .