di Aldo Cazzullo
La notte dopo il duello tv con Hollande, il 2 maggio 2012, Nicolas Sarkozy non chiuse occhio. «Come ho potuto perdere contro quella roba? Come ho potuto?» (Sarkozy chiama Hollande «ça», senza riconoscergli la dignità di essere vivente). Gli amici che tentavano di consolarlo — «puoi ancora farcela…» — lo irritavano ancora di più. Trovò requie solo quando ricevette l’sms di Alain Minc: «Nicolas, stavolta va male. Ma nel 2017 ci sarà un altro duello tra te e Hollande. E allora vincerai».
Intellettuale prestato alla finanza, Alain Minc ha preso qualche cantonata. Ma la profezia sul clamoroso ritorno di Sarkozy all’Eliseo potrebbe azzeccarla; anche se forse il rivale sarà una donna.
Marine Le Pen ha ottime possibilità di arrivare al ballottaggio; ma non ne ha quasi nessuna di diventare presidente. Hollande ha il problema opposto, superare il primo turno; dovrà buttarsi a sinistra, per riunificare almeno parte della Gauche dietro di sé. Ecco che in mezzo si spalanca una prateria. Su Sarkozy incombono molte incognite, forse troppe. In pochi credono che possa essere rieletto. Ma c’è una grande confusione sotto il cielo di Francia; la situazione è propizia a un uomo che tre anni fa pareva finito.
Sarkozy non è neppure cambiato troppo, rispetto al tempo della prima rincorsa all’Eliseo. È sempre molto teso e molto nervoso. Il sacro fuoco ancora lo brucia. Si muove a scatti. Si agita. La politica per lui è una droga. Quand’era presidente l’ha confidato ai giornalisti, facendo il gesto della siringa nel braccio: il potere gli dà dipendenza fisica. Ha provato a restarne lontano. L’ha promesso a Carla. Non ce l’ha fatta. Ha cominciato ad apparire ai concerti della moglie, seduto in platea, inquadrato all’improvviso da un fascio di luce, per vedere l’effetto che faceva: ogni volta erano ovazioni e grida entusiaste — «ritorna!» — anche perché lui ha sempre badato a scegliere città solidamente di destra. Così ha preso coraggio. Ha riconquistato la guida del partito. E domenica ha provato ancora una volta l’ebbrezza della vittoria elettorale.
In realtà non è che i francesi abbiano tutta questa nostalgia di Sarkozy. Le Procure gli stanno addosso: l’hanno accusato di tutto, anche di aver subornato l’anziana miliardaria Liliane Bettencourt, e di aver preso soldi da Gheddafi prima di bombardarlo. La sua immagine è logora. La sua energia è associata all’arroganza più che alla forza. La sua presidenza evoca la crisi economica, la sudditanza verso la Merkel, il disastro seguito all’intervento in Libia. Gli stessi elettori di destra sembrano preferirgli il sindaco di Bordeaux Alain Juppé, l’ex premier di Chirac (un altro leader di recente molto rivalutato). La strada per l’Eliseo è lunga e piena di trappole. Ma Sarkozy ha due fattori dalla sua.
Primo: è un animale da campagna elettorale. Averlo contro è durissima. Chirac ne uscì a pezzi. La Royal, personalità di charme e di carisma, ne fu stritolata. Hollande perse due milioni di voti in due settimane: i sondaggi lo davano vincente 56 a 44, finì 51,6 a 48,4. Oggi Sarkozy è dato perdente in eventuali primarie contro Juppé; ma in campagna, con la pressione che esercita sui media, è in grado di far passare il rivale da anziano saggio a vecchio arnese.
Il secondo fattore favorevole è la legge dell’alternanza. Negli ultimi 35 anni chi era al potere in Francia ha sempre perso le elezioni. Nell’81 Giscard è sconfitto dal socialista Mitterrand. Nell’86 i socialisti perdono rovinosamente le politiche e Chirac diventa primo ministro. Due anni dopo Chirac è travolto da Mitterrand alle presidenziali. Nel ’93 nuovo crollo socialista: primo ministro è Balladur. Nel ’95 Balladur si candida all’Eliseo: Chirac lo elimina al primo turno, batte Jospin al ballottaggio e diventa presidente; ma due anni dopo perde le politiche e Jospin diventa premier; per poi essere ignominiosamente eliminato al primo turno delle presidenziali. Per fermare la vorticosa girandola, si decide di eleggere presidente e Parlamento nello stesso anno, ma il sottosopra continua: nel 2007 Sarkozy vince all’insegna della rottura con Chirac; nel 2012 è proprio il rigetto di Sarkozy a premiare Hollande; i francesi si stufano di Hollande in poche settimane. Ed ecco che il pendolo torna verso destra.
Ovviamente il problema non sono i politici; è la Francia, che sente di non contare più nulla se non agganciata agli ammirati nemici tedeschi, e vede sfumare pure il benessere costruito nei «Trent’anni gloriosi» tra il 1944 (la liberazione di Parigi) e il 1974 (lo choc petrolifero). Un declino contro cui tutti i leader si sono rivelati impotenti. Compreso Sarkozy, che oggi può puntare a una vittoria di risulta, non più a quella «Rupture» con il modello statalista che all’evidenza i francesi — affezionati all’idea del villaggio gallico assediato dal mondo globale — non volevano e non vogliono davvero.