Palladio, Veronese, Bassano e Vittoria una mostra racconta i quattro campioni che sfidarono Venezia. Anche nella politica
di Vera Mantengoli
Come relitti spinti dalle onde sulla battigia, le opere del passato arrivano ai giorni nostri lasciando soltanto tracce della loro origine. Ai posteri l’arduo compito di indagare per scoprire nei dettagli da dove provengono. È questa la metafora utilizzata dal curatore Guido Beltramini per raccontare la mostra La fabbrica del Rinascimento. Palladio, Veronese, Bassano e Vittoria, realizzata con Davide Gasparotto e Mattia Vinco e aperta fino al 18 aprile nella Basilica Palladiana di Vicenza, candidata come capitale della cultura per il 2024. La ricerca accurata di come sono state ideate le opere e dei continui rimandi tra i quattro autori, interpreti di quella che Vasari definì «maniera moderna», rappresentano il filo rosso che collega 80 capolavori tra dipinti, sculture e disegni che dialogano in un continuo intreccio di aneddoti e corrispondenze.
Lo sfondo è una Vicenza produttiva e colta che mal digerisce il dominio della Serenissima che impedisce a chiunque non sia veneziano di diventare Doge o di entrare nel Maggior Consiglio. Venezia sta stretta ai mercanti vicentini, conosciuti in tutta Europa per la produzione di seta grezza, ma anche per il commercio di oro e argento. Non è un caso per Beltramini che in questo contesto Palladio diventi un architetto ricercatissimo dai ricchi imprenditori. Lui, con il suo stile che celebra l’antico, va controcorrente rispetto alla tendenza veneziana sfoggiata nelle architetture del Canal Grande. Commissionare a Palladio significa quindi distinguersi da chi detta le regole e mostrare che anche Vicenza non è da meno.
«Giangiorgio Trissino aveva visto come i papi Leone X e Clemente VII utilizzavano a Roma le arti come strumento per promuovere la loro egemonia culturale e quando torna a Vicenza sogna di fare lo stesso. Diventerà mentore di Andrea Palladio e promuoverà attraverso il suo genio il ritorno all’antico e il riscatto della città da piccola provincia a punto di riferimento della cultura» spiega Beltramini, direttore del Centro internazionale di studi e architettura Andrea Palladio. Nel Salone della Ragione, dove un tempo possiamo immaginare gli stessi Trissino e Palladio, oggi troviamo i plastici dei palazzi palladiani che diedero vita alla nuova Vicenza, accostati ai committenti dipinti da Paolo Veronese, come i coniugi mercanti Livia e Iseppo Porto.
«I disegni esposti mostrano gli schizzi che Palladio disegnava di fronte ai suoi committenti e come era abile nell’offrire più proposte». Palladio è il più anziano dei quattro, uniti da una stima reciproca che i curatori mostrano negli accostamenti delle opere, a partire da Paolo Veronese, arrivato a Vicenza per lavorare al cantiere del Palazzo Thiene. Nel maestoso dipinto Unzione di Davide resti di antichità classiche e di un edificio d’ispirazione palladiana fanno da sfondo all’episodio biblico. A pochi passi lo sguardo incrocia quello del giurista vicentino Giovanni Battista Ferretti, primo busto all’antica scolpito da Alessandro Vittoria, il Tintoretto della scultura, giunto anche lui a Vicenza nel cantiere di Palazzo Porto. Nello stesso periodo troviamo Jacopo Dal Ponte detto Jacopo Bassano con diversi dipinti raffiguranti l’Adorazione dei pastori e il Seppellimento del corpo di Cristo, a rompere il mito che gli artisti del Rinascimento realizzavano opere uniche. Gli imprenditori vicentini investono nella cultura, come dimostra anche il primo dipinto commissionato a Vicenza al Tintoretto, Sant’Agostino risana gli sciancati. «La ricerca è stata lunga e approfondita, anche nel trovare alcune opere» prosegue Beltramini. Come il piccolo modelletto della Giuditta con la testa di Oloferne di Veronese, dal Museo Soumaya di Carlos Slim di Città del Messico e ora esposta vicino a quella conosciuta di Palazzo Rosso a Genova.
Per comprendere la fabbrica bisogna entrare dentro le opere. La tela Ritratto d’uomo di Palma il Giovane mostra un artista, probabilmente Antonio Aliense, raffigurato nel suo studio con gessi sullo sfondo non casuali: ci sono il San Sebastiano di Vittoria e il cosiddetto Vitellio, riprodotto da Bassano in un disegno del Louvre. Il libro dei conti della famiglia Dal Ponte ha permesso di ricostruire anche il costo delle opere: il Ritratto dei due cani di Bassano, esposto al Louvre, vale per esempio il doppio di un paio di guanti da signora.
In un mare di enigmi, Palladio ricorda quanto sia stato decisivo affidarsi al cambiamento: «Appresso coloro che conoscono quanto sia difficil cosa lo introdurre una usanza nuova (…) io sarò tenuto molto aventurato, avendo ritrovato gentiluomini di così nobile animo et eccellente giudizio c’abbiano creduto alle mie ragioni e si siano partiti da quella invecchiata usanza di fabricare senza grazia e bellezza alcuna».