Quando il corpo diventa un’opera d’arte

«Se ti battezzano come disforica è chiaro che disforicamente ti costruisci, se ti definiscono patologica è chiaro che come malata ti muovi», scrive Porpora Marcasciano, figura-chiave della militanza trans in Italia. Attorno alla stessa idea ruota Always Amber di Lia Hietala e Hannah Reinikainen, documentario svedese presentato a Berlino nella sezione Panorama. Il film ritrae il processo di crescita di Amber, adolescente che si definisce «non binaria», ama la musica, l’arte e coltiva amicizie intense e totalizzanti come solo in quella fase della vita capita di avere. Sin dall’infanzia, Amber ha stretto un legame fortissimo con Sebastian, persona molto presto consapevole della propria dissidenza rispetto alle norme di genere. Amber e Sebastian vanno a scuola insieme e trovano conforto e forza nel loro rapporto: «eravamo le persone strane, marginali, quelle che non stavano bene da nessuna parte ma insieme stavamo alla perfezione».

LE REGISTE, una delle quali nel 2017 aveva vinto il Teddy Award a Berlino per il cortometraggio My Gay Sister (2017), hanno dichiarato che desideravano girare un film sull’amicizia focalizzato su persone non conformi alle aspettative di genere così da dare visibilità a un tipo di soggettività a cui si sentono affini. Per farlo hanno deciso di montare insieme filmini di famiglia realizzati dai genitori di Amber sin dalla sua nascita e materiali girati nel corso di tre anni dalla stessa protagonista con il suo cellulare e una videocamera affidatale per raccontare il suo rapporto con Sebastian.
Questa scelta permette al film di lasciare spazio a una presa di parola autonoma del soggetto sulla propria vita e sulla propria intimità. Inizialmente, su immagini mosse e indirizzate verso il pavimento in cemento di una scuola, Amber conversa con alcune amiche curiose sulle ragioni per cui sta filmando e spiega: «due ragazze stanno facendo un film su di me dove racconto che una volta ero molto amica di Sebastian e poi abbiamo rotto». Da quel momento le immagini si susseguono a rotta di collo, raccontando tra alti e bassi tutta la parabola di un rapporto. Sebastian non è solo l’amica/amico del cuore, è anche la persona che scatena nel/la protagonista un processo di interrogativi e presa di coscienza: è Sebastian che propone per la prima volta di usare pronomi non marcati dal genere come lo svedese «hen» e il senso di liberazione che ne deriva apre nuovi spazi di sperimentazione ed esplorazione.

IL CORPO diventa un’opera d’arte, tagli e tinture di capelli un linguaggio, i piercing un’esperienza iniziatica da affrontare nel bagno di casa tra fiotti di sangue. Sebastian fa coming out come persona trans e inizia a spalmarsi sul corpo il testosterone. Amber osserva, partecipa e intraprende a propria volta il processo medico obbligatorio che, ottenuta la diagnosi di disforia di genere, le permetterà di sottoporsi a una mastectomia, quell’intervento che finalmente la libererà dagli sguardi sessuali indesiderati, da quei seni che la assegnano a un genere in cui non si riconosce. Ma è davvero ciò che desidera? Tutto il processo di elaborazione si dipana attraverso una videocamera che è specchio e diario, luogo di elaborazione del sé, dei propri desideri, delle proprie relazioni e di un lutto che pesa. Da qualche anno, infatti, Amber ha perso il padre, originario dell’Aquila. Per questo ora ha un’aquila tatuata su un braccio e un nodo in gola difficile da sciogliere. Quando il rapporto con Sebastian si rompe per via di un tradimento, Amber conosce Olivera, anche lei transgender con la passione per la musica: ecco di nuovo qualcuno con cui condividere tutto.

QUANDO sono insieme il corpo sembra più leggero, come nell’acqua del mare, e la disforia è un concetto senza senso: «Se vivessi con i miei amici su un’isola deserta non ci sarebbero norme e allora non sarei qui» confessa Amber alla psicologa. Forse per questo quando arriva l’appuntamento in chirurgia, rimanda e rimanda. Se la società ti bolla come disforica e malata prima di cambiare te stessa puoi provare a cambiare la società, prendere quella diagnosi e restituirla al mittente.

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