G. B. Zorzoli
È stata la diffusione dell’ideologia sovranista a determinare le crescenti preoccupazioni dei cittadini per l’immigrazione o, al contrario, le seconde hanno funzionato da catalizzatore del sovranismo?
Non si tratta di un interrogativo ozioso. È infatti evidente che la questione “migranti” ha contribuito non poco alla popolarità del sovranismo come soluzione dei problemi posti dalla crisi in cui versano i paesi democratici. E dalla situazione attuale non se ne esce, facendo appello a considerazioni che pure poggiano su dati di fatto inoppugnabili.
Ricordare che l’immigrazione è essenziale per compensare i vuoti tendenziali dovuti alla bassa natalità, riesce soltanto ad aumentare il numero degli «incavolati neri e offesi, mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia ma anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi». Così il Censis definisce la risposta al blocco della mobilità sociale e alla polarizzazione dell’occupazione in una fascia ristretta ad alto reddito e in una, più larga, di lavori insufficienti come numero, mal retribuiti e in larga misura precari, per i quali gli immigrati rappresentano una pericolosa e spesso vincente concorrenza.
Né ha maggiore efficacia ricordare che l’anno scorso il numero degli stranieri è cresciuto in Italia di appena 9.000 unità, pari allo 0,01% della popolazione residente, e che rispetto al maggio del 2017 nel mese scorso gli sbarchi sono diminuiti di più del 70%. Per una parte consistente della popolazione, decisiva nelle urne, l’unico effetto considerato convincente sarebbe il calo in misura sensibile degli immigrati che già vivono in Italia.
Quasi sempre reazioni che appaiono irrazionali, contengono un nocciolo di razionalità che, in questo caso, ha dimensioni consistenti: la propaganda salviniana trova un terreno reso fertile dalla pluriennale assenza di una politica dell’accoglienza.
Come hanno affrontato per anni la crescita dei flussi migratori i governi in carica dopo la dissoluzione in Libia del regime di Gheddafi? Hanno portato avanti con lentezza la registrazione dei nuovi arrivati, lasciandoli liberi di spostarsi verso i confini settentrionali del paese e di attraversare senza problemi le frontiere, grazie alla convenzione di Schengen. Una volta in Francia, in Austria, in Germania, non risultando registrati in Italia, hanno potuto chiedervi asilo.
Una mossa furbesca, che ovviamente alla lunga non ha pagato. Le chiusure delle frontiere con l’Italia sono state un atto disonorevole e disumano, per il quale l’unico ad avere meno diritto di protestare è il mondo politico del nostro paese, nella quasi totalità responsabile o tacito complice di tale mossa (altrettanto singolare è il quasi completo silenzio su questa furbata da parte dei media).
Se si fosse attuata una tempestiva politica dell’accoglienza, sarebbe stato possibile coinvolgere, con pieno diritto di farlo, gli altri paesi UE nella gestione congiunta della questione, quando maggiore era la disponibilità a collaborare (tre anni fa la Germania accolse due milioni di siriani). Inoltre, in assenza di tale politica, la ricollocazione in Italia dei profughi è avvenuta in modo improvvisato e caotico, creando inevitabilmente disagi e proteste in diversi centri abitati. Con un peggioramento progressivo, talvolta anche là dove all’inizio non c’erano stati problemi, dato che politiche attive di integrazione hanno continuato a latitare.
Completano il panorama gli scandali di alcuni centri di accoglienza, appaltati dalle prefetture a terzi senza adeguati controlli ex-ante ed ex-post, e le indagini avviate dalla magistratura su alcune Onlus; notizie che, artatamente amplificate, hanno fatto presa sulla popolazione.
Tranne coloro che sono fuggiti dalla guerra o dalla fame, quasi nessuno può dunque proclamarsi innocente, ma il rancore, che a volte esonda, trasformandosi in odio, non intende ascoltare ragioni. Non volendo affrontare alla radice il problema, con un effettivo sostegno alla crescita non solo economica dei paesi africani, anzi, con decisioni di segno opposto (dal 2007 a oggi l’aiuto finanziario italiano all’Africa è drasticamente diminuito), la delega data a Salvini sta portando al blocco completo degli arrivi, senza preoccuparsi della sorte dei disgraziati alla deriva nel Mediterraneo.
Per parte sua, l’Europa non è da meno. Per chi è già arrivato e non è in regola, il vertice di Bruxelles ha proposto la costituzione volontaria di centri “sorvegliati”, da cui gli internati potranno uscire solo quando la loro posizione sarà definita. Se verrà riconosciuto il diritto di asilo, potranno recarsi in uno dei paesi disposti ad accettarlo; in caso contrario, l’Unione europea si incaricherà del suo rimpatrio. E se, com’è probabile, nessun paese vorrà prenderli oppure il paese di origine respingerà la richiesta di rimpatrio? L’accordo raggiunto su questo non si pronuncia. Rischiano allora il carcere a vita?
Se l’Europa spera di chiudere la questione con queste dighe, dimentica che, senza sfoghi, non c’è diga che prima o poi non venga travolta dalla massa d’acqua che si è andata accumulando al suo interno.