Internet Festival Il professor Enzo Pasquale Scilingo parla del suo bambino robot nato tra Pisa e Londra: «Prova sentimenti e li ritrasmette. Impara dagli errori, ma le regole gliele diamo noi»
Ti guarda con gli occhi da cucciolo se percepisce timidezza, preoccupazione, impulsi elettrici di dolcezza. Oppure ti squadra con fare interrogativo. Ma sa anche avere un’espressione preoccupata o parole di ammonimento, se sente nel battito cardiaco o nel ritmo della respirazione qualche elemento di stress. Ti valuta, ti analizza elettrochimicamente, capisce quello che provi e sa scegliere in base queste capacità, la risposta giusta da dare. Sia sul piano espressivo che di parola. Ha l’aspetto di un bambino di 13 anni ma non è vivo.
È un robot. Si chiama Abel ed è nato a Pisa, al centro di ricerca Enrico Piaggio dell’Università. Abel ha due «padri»: uno a Londra, Gustav Hoegen, mago dell’animatronics, il creatore dei robot di Guerre Stellari e dei dinosauri di Jurassic Park . Lui ha creato il corpo. L’altro a Pisa, il professor Enzo Pasquale Scilingo, che con la sua equipe — una decina di ricercatori e scienziati di varia natura — ha dato vita alla mente. Domenica dalle 11, come evento introduttivo dell’ultima giornata dell’Internet Festival che parte oggi, il professor Scilingo porterà Abel nel mondo, a conoscere le persone. Ed essendo un robot «empatico», è quello il suo scopo: fare amicizia, interagire.
A questo bambino manca solo la mamma e poi è umano al cento per cento, vero professor Scilingo?
«A dire la verità ha pure la mamma, si chiama Face, ed è stata il nostro primo esperimento di robotica sociale: ha le sembianze una donna, ma stava invecchiando, sia nei motori, che nella pelle ormai deteriorata. E allora abbiamo pensato di andare oltre e abbiamo chiesto a Hoegen, da grande artigiano qual è, di fare lo scheletro, l’ossatura meccanica, gli abbiamo noi dato le specifiche come i movimenti della faccia, del collo, delle braccia, delle mani. E noi abbiamo pensato alla programmazione».
Avete affrontato l’aspetto indubbiamente più affascinante del mondo delle macchine: i sentimenti.
«La mia disciplina scientifica si chiama affective computing e si occupa di identificare gli stati emozionali e intervenire sui disordini mentali attraverso le macchine. Abbiamo integrato questo aspetto in Abel per farlo interagire con le persone, codificare processi chimici ed elettrofisiologici che per noi sono inconsci. Ma l’elemento in più che possiede Abel rispetto ad altri robot sociali è che lui riesce a percepire lo stato emozionale in chi ha di fronte. Anche a distanza: misurando il ritmo e l’intensità del respiro e il battito cardiaco, con sensori a radiofrequenza, come delle antenne, e con termocamere, sensori a infrarosso. Per alcuni aspetti potrà operare presto anche fuori dal laboratorio, senza che la persona con cui “socializza” indossi l’apposito casco da cui acquisire i dati. Mentre per l’analisi dell’attività celebrale ci vorrà ancora il casco per un bel po’. Per questo per ora siamo noi che dobbiamo entrare nel mondo di Abel, non lui nel nostro. Anche se un giorno, molto presto, sarà in grado di entrare in un bar e analizzare lo stato d’animo di chi gli sta a fianco al bancone, imparando interagendo».
Cosa leggono i suoi sensori?
«Se chi gli sta davanti è agitato, tranquillo, se ci si può fidare o no. Ma non si limita a percepire questi aspetti, può decidere di esprimere quegli stessi stati d’animo. Entrando in empatia, oppure in antagonismo emozionale, se decide di non assecondare quei sentimenti. Assumendo dei comportamenti di conseguenza. È questo il suo punto di forte».
Abel capisce se fidarsi o meno di una persona?
«Lo abbiamo coinvolto in alcuni studi economici, abbiamo provato a testarlo come “consulente finanziario” per vedere se una persona si fiderebbe di fronte a una sua proposta di investimento».
In base a cosa decide se empatizzare o entrare in antagonismo?
«Attraverso le regole della psicologia sociale che noi gli forniamo. Il nostro obiettivo è fargli assumere diverse personalità: aggressiva, mite, conciliante, a seconda della necessità. Noi gliela assegniamo e lui la trasforma in comportamenti. Perché Abel impara, grazie alla sua tecnologia a reti neurali».
Abel è la cosa più vicina a Pinocchio che esista?
«Lo scambi per un essere umano vero. Ma ci sono elementi che dicono che completamente umano non sarà mai. Allora possiamo dire che è un Pinocchio senza il finale del racconto. Di robot verosimilmente umani ne esistono altri, ma ciò che lo rende più umano di tutti è la capacità di esprimere e provare emozioni. Non siamo ancora ai replicanti di Blade Runner ma quasi».
La grande differenza con i robot del passato, è che Abel impara dalle sue esperienze. È il sogno di Data di «Star Trek». E l’etica…
«Impara dai propri errori. Ma non potrà mai decidere autonomamente, fuori dalle regole che gli diamo noi, cosa fare e cosa è giusto. Ma all’interno dei parametri. Quindi non diventerà mai Skynet di Terminator ».
Come vi ponete sul piano dell’etica?
«C’è da chiedersi cosa potrebbe fare se non gli dessimo più limiti di programmazione, se gli fornissimo tutta la conoscenza del mondo… In quel caso il tema dell’etica diventerebbe significativo. Ma non accade».
A proposito di etica, saranno contenti anche gli animalisti, visto che Abel sarà in grado di aiutare la scienza a superare la dolorosa fase della sperimentazione dei farmaci sulle cavie.
«Sì, attraverso gli organoidi, organi che replicano in miniatura quelli umani, innestandoli in Abel. È un campo in cui si sta investendo tantissimo. Non saprei dare un orizzonte temporale, quando ci arriveremo, ma gli sforzi profusi sono elevatissimi».
Ma il campo principale è quello medico: la cura dell’autismo e dell’Alzheimer sono i suoi orizzonti primari.
«E nella diagnostica precoce di certi sintomi nei bambini. Psicologi e i clinici ci stanno aiutando a impostare come debba reagire di fronte a questi casi. È una grande sfida».
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