di Pierluigi Piccini
Mi sento personalmente in obbligo di prendere una posizione rispetto ad un passaggio elettorale, quello referendario che nonostante la scarsa pubblicità che gli viene data, riveste un significato eccezionale per la nostra Repubblica. Lo faccio a titolo individuale e senza coinvolgere il movimento a cui aderisco.
La parte predominante del sistema politico sta chiedendo di dire SI e cambiare la Costituzione riducendo di un terzo la futura consistenza dei nostri rappresentanti nelle istituzioni dove si esercita uno dei tre poteri dello Stato democratico: quello legislativo. Tutti gli ulteriori cambiamenti, anche costituzionali, che questo “taglio” imporrà di adottare al sistema elettorale, al funzionamento delle Camere ed all’esercizio dei rispettivi poteri vengono rinviati a successivi accordi che non hanno ancora nessuna base d’intesa. Ma su questo rinvio ci viene richiesto un atto di fiducia pur di attuare alla svelta quella riduzione dei costi della politica tanto caro a tutte quelle forze che fanno leva sulla demagogia e sul populismo.
Poniamoci alcune domande partendo proprio da quest’ultimo punto. Perché i partiti, soprattutto quelli maggiori, si dichiarano favorevoli ad un referendum che li dovrebbe colpire? Semplice: il taglio riduce il numero dei parlamentari, ma lascia intatto il potere delle oligarchie di partito di scegliere chi va a rappresentarle nelle istituzioni. Meglio allora rischiare di deludere qualche elettore ostile piuttosto che sostenere un NO che sembra condannato a perdere in partenza sotto la spinta del falso antipartitismo.
Per quanto riguarda i “costi della politica” è notorio che il taglio permette alle famiglie di risparmiare solo qualche monetina all’anno e questo a spese della principale sede istituzionale di partecipazione democratica e non della “politica”, le cui forze mantengono i finanziamenti pubblici ed i cui dirigenti godono di una capillare presenza nelle Regioni e negli enti più vari con retribuzioni e pensioni spesso di livello elevato ed immotivato.
Già questi due elementi possono bastare a comprendere la natura di colossale beffa che viene consumata ai danni dei cittadini con questo referendum, senza andare a scomodare questioni più complesse e particolari come il fatto che realtà più piccole come la nostra provincia potrebbero restare priva di una presenza in Parlamento, che la rappresentanza dei cittadini verrebbe indebolita, che l’equilibrio delle parti istituzionali partecipanti all’elezione del Presidente della Repubblica verrebbe alterata, che il funzionamento del Senato andrebbe profondamente cambiato ed altro ancora.
Ed allora, piuttosto che tenerci impegnati in un cambiamento costituzionale di scarsa utilità e con rilevanti punti critici, la politica dovrebbe assumersi la responsabilità di affrontare i veri nodi della crisi di democrazia che vive il Paese e che non si risolvono certo tagliando l’equivalente di un caffè a famiglia all’anno.
Il vero problema, in larga sintesi, è che le basi della democrazia rappresentativa che abbiamo scelto nella Costituzione sono state fortemente erose e il rapporto tra gli elettori e gli eletti è stato reciso in cambio di una ricerca di stabilità dei leader e delle oligarchie dei partiti. Oligarchie che votando Si ne uscirebbero rafforzate e non è un caso che la stragrande maggioranza dei partiti sia d’accordo con questa scelta.
I ripetuti interventi legislativi sul sistema elettorale, tutti tesi a semplificare il gioco politico in un’ottica bipartitica o almeno bipolare, oltre ad essere stati superati dalle scelte degli elettori, hanno aggravato la progressiva e crescente crisi di fiducia e partecipazione e favorito le tendenze all’accentramento leaderistico dei poteri. Le istituzioni non vanno confuse con la ‘politica’ avendo un loro tempo autonomo ed essendo le uniche a garantire i cittadini e la democrazia. Abbiamo nel nostro recente passato il ricordo di cosa ha significato per il Paese l’occupazione e lo svuotamento proprio di quest’ultime.
Oggi serve perseguire una nuova strategia per ricostruire un sistema di rappresentanza veramente democratica in tutti i livelli istituzionali ed per individuare in questa logica i cambiamenti da apportare alla nostra Costituzione.
Per questo dobbiamo respingere le scorciatoie semplicistiche che vengono sottoposte al quesito referendario ed estendere, in questi ultimi giorni, la consapevolezza che il bene del Paese va perseguito votando NO ed imponendo i necessari cambiamenti ben più radicali.